Si chiama Atlante e, così come il noto mito classico, dovrà presto sostenere un grande peso. Tuttavia, contrariamente al più famoso mito suddetto, non è detto che i risultati siano così positivi. Ma cosa è Atlante? E come agirà? E con quali esempi internazionali? Cerchiamo di compiere qualche piccolo chiarimento in materia, sgombrando il campo dalle più comuni nubi.
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Cosa è Atlante
Cominciamo con l’Abc. E, dunque, ricordando che Atlante è il fondo voluto dal governo italiano (e soprattutto dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan), a capitale privato, con l’intento di sottoscrivere l’inoptato dei prossimi aumenti di capitale delle banche in difficoltà e, contemporaneamente, risolvere il problema delle sofferenze sui bilanci. Un duplice obiettivo straordinariamente ambizioso, che ha trovato il pronto appoggio di alcuni dei più importanti player del panorama bancario italiano (dalla Banca d’Italia nella persona del governatore Ignazio Visco, alla Cdp di Claudio Costamagna e Fabio Gallia, alle fondazioni guidate da Giuseppe Guzzetti, e così via).
Chi partecipa al fondo
Al fondo Atlante partecipano le banche, le assicurazioni e le fondazioni di origine bancaria. Attualmente il fondo può contare su stanziamenti ipotizzati per 5 miliardi di euro iniziali, di cui 1 miliardo di euro (ciascuno) da Unicredit e Intesa Sanpaolo – le due principali banche operanti in Italia), un altro mezzo miliardo di euro (ciascuno) dalla Cassa Depositi e Prestiti e dalle fondazioni bancarie, circa 700 milioni di euro dalle fondazioni e, per il resto, diverse centinaia di milioni di euro dalle altre banche (i principali contributi dichiarati sono quelli di Ubi Banca, per 200 milioni, Bper per 100 milioni e Monte Paschi per 50 milioni).
Cosa può fare il fondo
Come sopra anticipato, al fondo sono richiesti due tipi di interventi. Con il primo si punta a far sottoscrivere le azioni inoptate dall’aumento di capitale di banche in difficoltà, attraverso accordi si sindicazione con cosorzio di collocamento e/o garanzia, e private placement eventualmente indirizzato al solo fondo. Lecito pensare che le prime banche potenzialmente interessate possano essere la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, oltre ad altri istituti presto sotto aumento. Il secondo intervento sarà invece la sottoscrizione di strumenti finanziari emessi da uno o più veicoli costituiti per l’acquisto di npl da parte delle banche italiane.
Chi pensa che il fondo non serva
Sono numerosi gli attori internazionali che ritengono che il fondo non serva. O, meglio , che serva molto di più per cercare di supportare le difficoltà delle banche italiane. Tra i detrattori di Atlante si trovano ad esempio le principali agenzie di rating statunitensi, che – tuttavia – potrebbero puntare a demolire opinionisticamente il fondo Atlante per un secondo fine, ben riassunto da Stefania Peveraro su Milano Finanza: “a ben vedere, gli acquirenti di npl più agguerriti sinora sono stati propri i fondi Usa specializzati, con la sola eccezione di Banca Ifis, unico attore italiano presente in maniera significativa sul mercato, che l’anno scorso ha comprato npl per un valore lordo di 4,1 miliardi di euro (valore nominale), tutti di tipo unsecured (cioè non garantiti) e rappresentati da crediti al consumo o personali. E quest’anno ha già annunciato l’acquisizione di due portafogli per un totale di 450 milioni. Per il resto, si diceva, la maggior parte delle transazioni sugli npl delle banche italiane è stata a opera dei fondi Usa”. Come a dire che, con l’introduzione del fondo Atlante, è possibile che molti operatori americani siano costretti a rivedere i propri piani di acquisto a prezzi di saldo.
Chi pensa che il fondo serva
Se è vero che ci sono tanti operatori convinti che il fondo non serva, è anche vero che ci sono altrettanti player convinti che il fondo darà una grande mano d’aiuto agli istituti di credito italiani. L’agenzia di rating tedesca Scope, ad esempio, è convinta che Atlante sarà “buona cosa” per il sistema creditizio tricolore. E così la penano anche numerose banche d’affari, con Equita sim che ha speso dolci parole in un recente dossier.
Uno strumento sottostimato
Considerato che la verità sta spesso nel mezzo, si può cercare di trovare una intermediazione tra i pro e i contro del fondo Atlante, affermando magari che, effettivamente, i 5 miliardi di euro inizialmente stimati per tale veicolo sono pochini. Se è vero che – come da intenti – il fondo dovrebbe acquistare npl (non performing loans) a prezzi vicini a quelli netti di bilancio (al fine di non caricare le banche di ulteriori perdite) è anche vero che così agendo serviranno molti di più dei 5 miliardi di euro previsti, che verranno destinati a tale fine solo per una parte minoritaria.
E gli altri Paesi che hanno fatto?
Il fondo Atlante non è l’unico veicolo lanciato per cercare di risolvere l’annoso problema dei crediti deteriorati. Tuttavia, il veicolo tricolore non ricorda molto da vicino le caratteristiche tecniche che hanno riguardato gli altri mercati. In merito, l’esempio più noto è probabilmente quello americano, con gli Stati Uniti che lanciarono il Tarp (Trouble Assets Relief Program) nell’ottobre 2008, dimostrando una tempestività sicuramente invidiabile rispetto ai tentennamenti europei. Con una dote da 475 miliardi di dollari, il governo ha usato tale strumento per ricapitalizzare benache e altre società, frenando così la crisi di fiducia e di scetticismo che si stava instaurando sul settore.