Aziende e banche, buone relazioni crescono

Dopo anni di diffidenza e di antagonismo (a volte, anche giudiziario), il rapporto tra le banche e le piccole e medie imprese italiane sembra essersi ripreso con maggiore positività. E anche se non sono certamente dimenticate le gravi ripercussioni conseguenti all’esplosione della crisi economica e al successivo credit crunch (che ha di fatto bloccato le erogazioni creditizie, e soprattutto nei confronti degli operatori imprenditoriali di più piccole dimensioni), il futuro sembra essere osservabile in chiave più rosea.

Quanto sopra è quel che emerge da una recente indagine condotta da Accenture, secondo cui banche e imprese sono tornate a fidarsi reciprocamente. Ad ogni modo, nonostante ciò, a otto anni da quel 2008 che sancì il formale inizio dalla crisi, l’80 per cento delle Pmi in Europa è finanziata tramite le banche contro il 50 per cento di quelle Usa. Non solo: nel Vecchio Continente il 20 per cento delle banking revenues è generato dal segmento Pmi mentre in Italia si arriva addirittura al 40-45 per cento. Insomma, le piccole e medie imprese europee difficilmente possono fare a meno del sistema bancario, e in Italia tale verità è ancor più acuita dal fatto che il tessuto imprenditoriale tricolore è largamente rappresentato proprio da piccole, piccolissime o micro aziende.

Il legame di cui sopra – ricordava il settimanale CorrierEconomia qualche giorno fa – comporta conseguenze sostanziali: a cominciare dall’eccessiva dipendenza al credito che è causa e conseguenza della cronica sotto-capitalizzazione che coinvolge oltre il 25 per cento delle imprese. Ma non solo: non si può infatti dimenticare che questa dipendenza delle Pmi dal sistema bancario genera un’elevata rischiosità delle stesse aziende (il 53 per cento ha una posizione di vulnerabilità) che rende particolarmente volatile l’andamento delle performance bancarie in un circolo vizioso che non promette nulla di buono.

Introdotto quanto sopra, non possiamo che guardare con un pizzico di positività alla mole di dati statistici ora diffusi, e dai quali spicca che la banca si conferma l’interlocutore preferenziale con cui le Pmi dialogano per ottenere credito e altre forme di finanziamento. Accenture dichiara che il 79 per cento del proprio campione interpellato afferma di fare utilizzo del credito bancario, e che la percentuale sale addirittura al 93 per cento tra le imprese con 150-250 addetti.

“La relazione banca-Pmi è oggi positiva a fronte del miglioramento post-crisi finanziaria — afferma Alberto Antonietti, managing director, Accenture Strategy sulle pagine dello stesso CorrierEconomia— ed è imputabile prevalentemente a tre fattori: il recupero della fiducia e della percezione di qualità nel rapporto reciproco, il miglioramento delle condizioni nell’accesso al credito, la ricerca della partnership a complemento dell’offerta finanziaria. L’82% degli intervistati afferma di essere soddisfatto del livello di fiducia verso la banca principale in materia di erogazione del credito e il 92% vede la propria banca come partner affidabile. L’83% afferma di non aver avuto difficoltà nell’accedere al credito, mentre il 17% rimanente ha riscontrato difficoltà (richieste di garanzie integrative o dilatazione dei tempi dell’operazione) o non è riuscito ad accedervi. Si assiste quindi ad una progressiva uscita dal credit crunch che ha afflitto il sistema Italia per anni”.

Non è certamente una coincidenza che per gli imprenditori le principali ragioni di scelta di una banca a cui chiedere il credito sono legate alla qualità del rapporto e del servizio erogato e poi al costo del finanziamento. Infine, le piccole e medie imprese cercano attivamente un rapporto di partnership basato sulla fiducia reciproca e capacità di affrontare e risolvere i problemi.

Anche alla luce delle ultime riflessioni sopra contenute, è tuttavia evidente una modifica nella relazione tra Pmi e banche: pur più stretto, il rapporto sta infatti mutando in maniera più evoluta, con le imprese che hanno iniziato con maggiore convinzione a scegliere gli istituti di credito non solo per i finanziamenti che propongono, bensì anche per i servizi che riescono a garantire loro. Si profila altresì l’evoluzione verso una relazione non “unica”, pur preferenziale: la banca rimane l’interlocutore preferenziale con cui si interfacciano le imprese italiane, ma solo il 18 per cento dei rispondenti è concorde nel ritenere che continuerà ad essere l’unico fornitore di credito nei prossimi anni.

“Mini bond, quotazione in Borsa, private equity, le Pmi stanno aprendo le porte del capitale a soluzioni alternative — continua Antonietti sulle pagine dello stesso settimanale — stanno acquisendo una significativa consapevolezza e propensione all’utilizzo di fonti alternative di finanziamento. Questa è una buona notizia anche per le banche: se l’accesso al credito si amplia, migliora la qualità della richiesta. Del resto la crisi ha selezionato la specie lasciando in attività quelle più strutturate e meglio organizzate. Questo non poteva che avere riflessi positivi sull’accesso ai finanziamenti”.

Per quanto infine concerne le determinanti che stanno influenzando la scelta della banca da parte delle Pmi, al primo posto c’è la qualità e la competenza del servizio erogato (elemento preso in considerazione dal 51 per cento degli intervistati),davanti alla relazione consolidata con la banca / gestore (43 per cento), al prezzo / spread inferiore (42 per cento), alla conoscenza del mercato in cui si opera (29 per cento) e al livello di accessibilità al credito (25 per cento). Se tuttavia si guarda alla priorità, al primo posto tra gli elementi ritenuti di importanza c’è il prezzo / spread inferiore (23 per cento) e la relazione consolidata con la banca / gestore (23 per cento), davanti alla qualità e alla competenza del servizio erogato (21 per cento).

Per quanto riguarda la gamma di fonti di finanziamento alternative ai prestiti, del campione che si dichiara disponibile a prendere in considerazione altri strumenti, a vincere sono i mini-bond, con il 31 per cento, davanti a venture capital (25 per cento), quotazione al mercato alternativo del capitale (14 per cento), peer-to-peer landing (11 per cento) e crowdfunding (9 per cento).

Esperto di trading e finanza, mi dedico alla stesura di articoli accurati e informativi, con l'obiettivo di fornire approfondimenti e conoscenze utili per orientarsi nel complesso universo degli investimenti.

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