Bankitalia conferma: la Brexit costa lo 0,2% del Pil

Dopo le affermazioni del Fondo monetario internazionale, anche la Banca d’Italia conferma tutti i timori presunti per un rallentamento della crescita economica del Paese dopo l’esito del voto sulla Brexit dello scorso 23 giugno. Stando a quanto riportato nel proprio bollettino economico mensile, sebbene gli effetti “reali” della vittoria dei “leave” non possano ancora essere quantificati con precisione, le stime della crescita del Pil sono state ritoccate al ribasso a un livello di poco inferiore all’1% per il 2016 e intorno all’1% nel 2017. Considerando che nel bollettino di maggio le previsioni erano state fissate all’1,1% e all’1,2% rispettivamente per il 2016 e per il 2017, ne consegue che l’istituto di via Nazionale ritiene che il peso della Brexit possa essere contraddistinto in 0,2 punti percentuali in ragione d’anno.

Ad ogni modo, sottolinea Bankitalia nel suo report, rimane molto difficile valutare l’impatto della Brexit sul quadro economico. Ciò non significa che non si possa comunque affermare che “sono aumentati notevolmente i rischi” e che gli effetti reali dipenderanno “dal verificarsi di conseguenze ancora meramente ipotetiche”. Ovvero, troppe variabili influenzano oggi l’effettiva evoluzione del complesso contesto di relazioni tra UE e GB per potersi sbilanciare in stime più precise. Permane, in verità, l’impressione che le previsioni di Bankitalia siano relativamente rassicuranti. “Le ricadute sulle proiezioni dei movimenti nei mercati finanziari, valutari e delle materie prime osservati dopo il referendum britannico sono minime” – ha precisato via Nazionale, per poi spiegare come “conseguenze più significative sull’attività economica potrebbero materializzarsi nei prossimi mesi in caso di un forte calo dell’attività nel Regno Unito, che potrebbe trasmettersi al nostro Paese attraverso l’interscambio commerciale o una revisione dei piani di investimento delle imprese attive sul mercato britannico”.

Nello scenario così delineato, è ben possibile che i rischi sulla faticosa (ma esistente) ripresa economica italiana potrebbero aumentare in maniera significativa, con effetti rilevanti sull’economia del vecchio Continente – oltre che su quella tricolore – se si diffondessero delle tensioni sui mercati finanziari non adeguatamente riscontrati dalla fruizione di strumenti di politica economia e monetaria opportuni. Su tale scenario, la Banca centrale europea si è più volte già detta pronta ad agire mediante diverse misure che puntano a stabilizzare i prezzi e a garantire i migliori effetti sulla crescita. All’interno di tale gamma di iniziative, dovrebbe spuntare anche il lancio di nuove operazioni di rifinanziamento, che a loro volta dovrebbero poter produrre – tra le conseguenze più immediate e dirette – quella di garantire agli istituti italiani la possibilità di sostituire il debito in scadenza nei prossimi anni, fruendo della riduzione del costo medio della provvista bancaria. I risparmi che così sarebbero generati, si potrebbero tradurre in una flessione dei tassi di interesse applicati ai nuovi prestiti al settore privato.

A proposito di crediti, il bollettino si è concentrato anche sull’elevato livello di prestiti deteriorati (Npl, non performing loans), ribadendo che la situazione appare in miglioramento, anche se i Npl ammontano a controvalori di straordinaria gravità, pesando sui bilanci delle banche in modo rilevante. Il flusso in rallentamento dei nuovi Npl ha tuttavia permesso alle banche di poter vantare una quota di crediti deteriorati sul totale dei finanziamenti in calo, sia al lordo che al netto delle rettifiche.

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