La Banca Popolare di Milano e il Banco Popolare hanno detto sì e le nozze sono state annunciate dal via libera alla fusione e alla trasformazione in una società per azioni. Si tratta dei primi passaggi che daranno vita al terzo polo bancario del paese dopo Unicredit e Intesa San Paolo, quindi di una manovra importante e che potrebbe cambiare gli equilibri economici e finanziari legati alle banche italiane. La volontà di sposare il progetto è stata accolta da un vero e proprio ‘plebiscito’ come riportato dalla stampa di settore, perché a Milano i favorevoli hanno toccato quota 7.314, mentre i contrari sono stati 2.731.
Gli umori alla vigilia dell’assemblea erano diversi, con l’amministratore delegato Pier Francesco Saviotti che annunciava l’avverarsi di un sogno senza mai mettere in discussione l’esito del voto e, dall’altro lato, una parte dei soci e in particolare i pensionati completamente contraria alla fusione fra i due istituti di credito.
Le ragioni della fusione sono quindi stati ben illustrati dall’Amministratore Delegato del Banco Castagna, che ha parlato di ‘salto’ rivolto al futuro e non al passato, di mantenimento dell’identità per scongiurare l’acquisizione da parte di banche straniere che potrebbero snaturarla e di una continuazione della tradizione ‘centocinquantennale’ dell’istituto di credito.
La fusione aveva quindi bisogno del voto favorevole dei due terzi dei presenti per avere esito positivo e la parte del ‘disturbatore’ è stata recitata dal presidente del consiglio di sorveglianza Nicola Rossi, che si è impegnato a richiamare i soci sui principali fattori di rischio dell’operazione. La relazione di Rossi è stata accompagnata dalle cosiddette ‘considerazioni disturbative’ dei soci che non erano a favore della fusione e dallo stesso responsabile è arrivata la giustificazione delle sue dichiarazioni, ovvero la volontà di informare al meglio i soci sulle diverse prospettive della annunciata fusione.
