Lo avevamo anticipato in tempi non sospetti, e quelle previsioni si sono ora manifestate: la Brexit avrà un esordio molto duro sul fronte negoziale e dialettico. Talmente duro che le posizioni di Londra e Bruxelles si sono già fatte piuttosto distanti, generando un’impennata di tensioni che potrebbero nuocere alla sterlina (e non solo).
Il conto del divorzio
Il perno intorno al quale ruoteranno le prime settimane di negoziazioni è legato alla penale che, secondo Bruxelles, Londra dovrebbe pagare per “staccarsi” dall’Unione Europea, e che secondo una recente stima compiuta dal Financial Times non sarebbe pari a circa 60 miliardi di euro (come indicato dal presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker), bensì a ben 100 miliardi di euro. Apriti cielo: dalle parti di Theresa May hanno già fatto sapere che non se ne farà nulla, poiché non si ha alcuna intenzione di aprire il portafoglio per poter regolare in misura così ampia l’uscita dall’area UE.
La cifra – sulla quale si attendono conferme o smentite – è la sommatoria delle quote britanniche relative al sostegno ai progetti a lungo termine che anche Londra aveva avuto modo di concordare nell’ambito comunitario, oltre al contributo che il Regno Unito avrebbe dovuto pagare per le pensioni e per i benefici dei dipendenti dell’Unione, e altre spese comuni.
Tanti i nodi già da sciogliere
Ad ogni modo, anche se il conto del divorzio tra Londra e Bruxelles non potrà che rappresentare la parte principale delle negoziazioni, soprattutto in questa fase principale, non bisogna dimenticare che i nodi da sciogliere fin dai primi mesi di dibattiti sono ben più numerosi e diversificati. Sul banco dei negoziati è infatti già finito da tempo il nucleo di diritti che dovrebbero essere riconosciuti ai 3 milioni di residenti comunitari nel Regno Unito, mentre di più recente interesse mediatico è il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord, che potrebbe aprire degli scenari geopolitici finora sottovalutati.
Nelle intenzioni di Bruxelles, la penale di uscita del Regno Unito dall’UE, i diritti dei residenti e le questioni di confine rappresentano un trittico di priorità. Come a dire che prima si dovrà parlare di questo (e, possibilmente, risolvere le questioni aperte), e solo dopo si potrà trattare su commerci, dazi, forme di cooperazione, e così via.
Una cena indigesta
Si tratta, comunque, di un esordio molto difficile da digerire. Più o meno come indigesta è stata la cena, di qualche sera fa, tra Theresa May e Jean-Claude Juncker, a margine della quale il secondo avrebbe detto della prima che vive in un’altra galassia, e che è ora molto più scettico sulla possibilità di trovare un’intesa. Dal canto suo, la prima avrebbe preannunciato negoziazioni estremamente dure.
Probabilmente, anche in virtù di questo primo incontro non formale, e non positivo, Bruxelles ha pensato di premunirsi contro strategie trasversali, impedendo a May di negoziare direttamente con gli altri leader europei. Una mossa che costringerà la premier britannica a passare necessariamente dalle porte di Michel Barnier, il capo negoziatore europeo, che ha recentemente illustrato le linee generali del suo mandato negoziale, dichiarando fin dalle premesse che la somma che il Regno Unito dovrà pagare per uscire dall’Unione europea “non è un castigo né una tassa”, ma solamente il corrispettivo degli impegni che Londra ha assunto.
Quanto basta per far scaturire l’immediata reazione di David Davis, colui che curerà i rapporti per la Brexit sulla sponda londinese, secondo cui “una cosa è certa, non verranno pagati 100 miliardi di euro”, ma solamente “quanto legalmente dovuto”, e non “ciò che l’UE vuole”.
Insomma, se il buongiorno si vede dal mattino…