Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una vera e propria lotta sui banchi dei tribunali tra due fazioni agguerrite: da una parte un manipolo di cittadini, possessori di determinati buoni fruttiferi postali, e dall’altro il gruppo Poste Italiane, ovvero lo Stato Italiano, che quei buoni li aveva emessi più di 30 anni fa.
Da qualche mese questa guerra si è ufficialmente conclusa, con una sentenza emessa dal tribunale di Catania che decreta la vittoria di Davide contro Golia, ovvero di quei cittadini che hanno lottato tutti questi anni per veder essere corrisposti i propri diritti.
Vediamo allora di raccontarvi i contorni di questa storia, cercando di capire perché e come si è arrivati a questo punto e cosa decreta la sentenza di Catania di fine 2016.
Argomenti
I buoni fruttiferi e l’andamento dei rendimenti negli anni
Molti di voi avranno già sentito parlare o conosceranno i buoni fruttiferi postali. Si tratta di prodotti finanziari nominativi emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti, per cui con garanzia del nostro Stato, e collocati sul mercato direttamente da Poste Italiane. Decisamente tante sono le persone che decidono di ricorrere a questo tipo di forma di risparmio, proprio perché spinti dalla garanzia e dalla sicurezza che solo lo Stato Italiano può fornire.
Di sicuro, come già vi avevamo raccontato nell’articolo ad essi dedicato, i buoni postali non possono fornire dei rendimenti molto elevati, e questo loro aspetto negativo si è accentuato soprattutto negli ultimi anni, con la fase di crisi economica attraversata dall’Italia e dal resto dei Paesi Europei.
La situazione non è stata, però, sempre così negativa, e in passato i rendimenti dei buoni fruttiferi postali era davvero elevati, tanto che venivano ricercati e sottoscritti come una vera e propria forma di investimento negli anni a venire. I nostri nonni o i nostri genitori proprio grazie al rendimento forniti da questi buoni hanno potuto acquistare un’abitazione, mandare i propri figli a scuola o garantire loro un futuro più roseo. Stiamo parlando degli anni di pieno boom economico della nostra nazione, quelli che lasciavano alle spalle le privazioni del primo dopoguerra e guardava il futuro con ottimismo, con l’Italia che diventava una Nazione ricca e produttiva. Stiamo parlando degli anni compresi tra il 1974 e il 1986.
Buoni fruttiferi: le serie M, N, O, P
Negli anni d’oro di cui stiamo parlando, ovvero tra il 1974 e 1986, le Poste Italiane emettevano quattro serie di buoni fruttiferi (in quegli anni le serie venivano identificate con delle lettere crescenti): le serie M, N, O, P (qui di seguito alcune immagini delle serie O e P).
E saranno proprio questi i buoni fruttiferi oggetto del contenzioso intrapreso tra i cittadini, loro possessori, e lo Stato. In quegli anni, infatti, complice la galoppante crescita economica, Poste Italiane proponeva ai cittadini dei buoni fruttiferi con rendimento medio annuo che toccava il 16%. Un rendimento a dir poco esorbitante che in Poste, qualche anno più in là, non si sono tirati indietro dal definire “demenziale”, che ha dato luogo ai “titoli di risparmio più remunerativi mai venduti da un ente pubblico”.
Ovviamente, per i possessori di tali titoli si traduceva in un eccellente prodotto finanziario, soprattutto se si considera il fatto che questi buoni duravano fino ad un massimo di 30 anni.
Il decreto Goria e il dimezzamento dei rendimenti
Tutto fin troppo bene fino a questo punto. Fino a che lo Stato non si rese effettivamente conto di quanto denaro avrebbe dovuto restituire negli anni a venire, e corse ai ripari. Lo face con il cosiddetto decreto Gava-Goria (decreto ministeriale 148), che, in pratica, dimezzava i rendimenti dei buoni fruttiferi a partire dalla data del 1° luglio 1986, ovvero a partire dalla serie Q. Il fatto è che, per evitare di pagare le ingenti somme dovute alle serie M,N,O,P di cui abbiamo appena parlato, tale decreto prevedeva la retroattività del dimezzamento dei tassi di rendimento ai titoli emessi dal 1974 in poi.
La questione, quindi, è tutta qui: era legale o meno l’azione di retroattività decretata dallo Stato Italiano?
In pratica, a distanza di 30 anni dall’emissione, e quindi già a partire dal 2004, molti cittadini, possessori dei buoni fruttiferi appartenenti alle serie M,N,O,P si sono visti elargire la metà del denaro che era stato promesso loro al momento della sottoscrizione e dell’emissione del titolo. E da qui molti cittadini, supportati dalle associazioni dei consumatori, hanno deciso di denunciare l’accaduto, pretendendo il pagamento dell’intera quota a loro spettante.
La recente sentenza e la vittoria dei possessori dei buoni postali
Torniamo quindi ai giorni nostri, con anni di udienze e dibattiti sull’annosa questione del rendimento dei buoni fruttiferi postali emessi tra il 1974 e il 1986. Le serie cosiddette modificate hanno diritto ai rendimenti sottoscritti o vale la retroattività del decreto Goria?
La recente sentenza 6430/2016 emessa dalla quarta sezione civile del tribunale di Catania ha fatto finalmente luce in tal senso, dando ragione ai cittadini che sottoscrissero i titoli in quegli anni e che hanno diritto alla liquidazione dell’intera somma, calcolata sulla base del rendimento presente sul buono al momento della stipula con Poste.
In pratica, riprendendo le parole stesse presenti sulla sentenza, non serve a nulla “la mera apposizione di un timbro che ne modifichi la serie” per ridurre o modificare i rendimenti del titolo stesso, fissati nel momento della sua emissione.
I fortunati possessori di questi buoni postali
Grande vittoria per i cittadini, quindi, ma soprattutto, grandi guadagni per tutti quei fortunati che hanno avuto la fortuna di trovarsi tra le mani dei buoni di questo tipo. Molti li hanno paragonato a una specie di vincita e della lotteria e, visti gli importi dei quali stiamo parlando non ci allontaniamo poi così tanto da questa definizione.
Fra tutte vi accenniamo brevemente alla storia di due di essi, in modo da farvi rendere conto dell’entità del guadagno di cui stiamo parlando.
Don Antonio, parroco di Massa originario di Brindisi, ebbe nel 1976, in regalo dal padre nel giorno in cui fu ordinato sacerdote, un buono da 50 milioni di lire che oggi, al termine dei 30 anni, vale ben 898 mila euro.
La Signora Giovanna Russo, residente a Fermo ma cremonese di origine, ebbe nel 1976 come regalo di battesimo da parte dei genitori un buono da 5 milioni di lire. Oggi questo stesso buono vale una quota come 91 mila euro.