I risultati delle elezioni americane sono definitivi e danno la nomina presidenziale a Trump. Una nomina in totale sorpresa, maturata gradualmente nel corso di una lunga notte nella quale non sono mancati gli shock in casa democratica e, almeno per quanto stiamo assistendo, anche sui mercati finanziari. In termini di delegati, il candidato repubblicano ha infatti abbondantemente superato la soglia dei 270 voti necessari per la nomina (mentre scriviamo sono 290, ma potrebbero arrivare a superare i 305), mentre la Clinton si è fermata abbondantemente sotto quota 220 (ora 218, ma non arriverà oltre i 232). La conta dei voti ha dato inoltre chiare vittorie di Trump in gran parte degli stati cruciali (dalla Florida all’Iowa, passando per la North Carolina e l’Ohio). Anche la Pennsylvania è andata a Trump. Degli stati incerti, Clinton ha conquistato Nevada, Colorado e Virginia.
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Presidenza, Camera e Senato in chiave repubblicana
Ad ogni modo, anche se i media stanno ancora faticando a digerire la novità, non è l’unica conseguenza clamorosa in una notte che passerà alla storia degli Stati Uniti, e non solo. Informazioni importanti per il futuro del Paese (e, probabilmente, anche del mondo) vengono altresì dal voto per il Congresso: la Camera come atteso, mantiene una solida maggioranza repubblicana, con 235 seggi già sicuri e 181 seggi democratici (a fronte dei 218 seggi necessari per avere la maggioranza). La sorpresa maggiore viene dal Senato dove i Repubblicani hanno mantenuto il controllo con 51 seggi già sicuri contro 47 assegnati per ora ai Democratici (maggioranza con 50 seggi). Con Presidente, Camera e Senato tutti e tre repubblicani, dunque, i poteri esecutivo e legislativo tornano ad avere un mandato chiaro, con maggiore margine di manovra per possibili riforme. Un mandato chiaro che non si sarebbe potuto verificare con la possibile vittoria di Hillary Clinton, che nell’ipotesi in cui fosse riuscita a conquistare la Presidenza e un equilibrio al Senato, avrebbe dovuto comunque far fronte a una maggioranza repubblicana alla Camera per almeno altri due anni (ovvero, fino alle elezioni di mid term) con conseguente stallo legislativo.
Non tutto è “perduto”?
Ad ogni modo, il fatto che Trump abbia in mano la Presidenza e la possibilità di poter contare sull’appoggio di Camera e Senato, non equivale ad affermare che avrà mano libera per ogni scelta. Sarà infatti molto interessante cercare di comprendere quale rapporto si instaurerà fra un Presidente eletto in larga misura senza il supporto del partito che rappresentava e i due rami del Congresso…
Cosa ha detto Trump
Nel discorso di accettazione del mandato Trump ha sottolineato i temi di conciliazione e cooperazione e ribadito che intende attuare politiche che rafforzino la crescita. In termini di politica economica, lo scenario più probabile in un contesto di mandato omogeneamente repubblicano, come si sta sviluppando in queste ore, è quello di una politica fiscale piuttosto espansiva almeno nel prossimo biennio, fino alle prossime elezioni di mid term, con possibili riforme tributarie sia per le imprese sia per le persone fisiche e possibili aumenti di spesa per infrastrutture.
Il programma di Trump, basato su drastiche riduzioni di entrate, potrebbe avrebbe come effetto collaterale un enorme aumento del deficit e del debito: ad ogni modo, è molto probabile che il Congresso non darà il via libera al piano Trump nella sua versione originaria, cercando pertanto di mediare le varie posizioni e rendendolo un po’ più soft rispetto a quanto elaborato dallo staff presidenziale. Il fatto che entrambi i rami del Congresso siano repubblicani fornisce effettivamente un più vasto margine di manovra per il passaggio di legislazione controversa su temi fiscali (entrate, debito, deficit) con la procedura di budget reconciliation, ma non dovrebbe rappresentare un appoggio illimitato.
Ad ogni modo, appare evidente che con i poteri esecutivo e legislativo tornati ad avere un mandato chiaro, vi possa essere un concreto margine di manovra per possibili riforme. Il rischio maggiore in termini di politica economica riguarda comunque il commercio internazionale, con un approfondimento della piega protezionistica che già si stava diffondendo in Congresso e che ora potrebbe subire una corposa accelerazione. Nel breve termine, il Congresso potrebbe non ratificare il TPP negoziato da Obama e sono a rischio gli altri trattati internazionali. Molto difficile invece che il Congresso accetti di approvare il violento incremento delle tariffe del commercio con la Cina e il Messico incluse nel programma di Trump, ma nei prossimi mesi permarrà un profondo clima di incertezza al riguardo. Potrebbero inoltre tornare in discussione, secondo quanto affermato da Trump in campagna elettorale, la riforma sanitaria di Obama, le regolamentazioni in tema di immigrazione e di ambiente. A Trump spetterà anche la nomina di uno o forse due giudici della Corte Suprema. Come se quanto sopra non fosse sufficiente, un’altra grande incognita sarà la politica estera, a stretta discrezione del Presidente. A questo proposito già nel discorso di insediamento Trump ha affermato che cercherà “amicizie” non conflitti. Bisognerà comprendere se tali buoni intenzioni riusciranno a tradursi in pratica.
Il Presidente entra in carica il 20 gennaio 2017 e il nuovo Congresso sarà in carica da inizio gennaio. I mercati finanziari non hanno accolto positivamente l’ingresso trionfale di Trump nella sua nuova funzione, ma lo shock potrebbe essere assorbito nelle prossime settimane. Monitoreremo con voi l’evoluzione di questo inaspettato scenario…