La Federal Reserve soddisfa gli analisti più impazienti, con il suo FOMC che delibera l’incremento dei tassi di riferimento per 0,25pc, conducendo ora il livello complessivo allo stesso range abbandonato nove anni fa, pari a 0-75-1pc. Le notizie di rilievo non finiscono però qui: si tratta infatti della prima stretta del 2017, la seconda dallo scorso anno, la terza dal 2015 e, a ben vedere, dalla metà del 2006. Ma che cosa è avvenuto ieri? E perché è bene essere tiepidamente ottimisti?
La Fed non si fermerà qui
Considerato che quanto avvenuto ieri era abbondantemente atteso, l’attenzione degli analisti si sposta ora a quel che avverrà nei prossimi mesi, con un’unica certezza: la Fed non si fermerà certamente qui, e conferma la volontà di procedere ad altri due rialzi dei tassi stimati per il 2017, cui faranno seguito altri tre rialzi stimati per il 2018 e ulteriori rialzi dei tassi per il 2019. Valutato che nel corso del 2015 e nel 2016 è avvenuto un solo rialzo per anno, l’impressione è che l’accelerazione sia netta e che, salvo “cigni neri”, possa essere altresì rispettata.
Per quanto concerne la tempistica del prossimo rialzo, gli analisti mantengono aperta la finestra temporale della prossima riunione del FOMC, anche se è prematuro poter compiere analisi in merito. Rinviamo pertanto la trattazione di tale tema nelle prossime settimane, quando diverrà molto più chiaro in che modo l’economia a stelle e strisce riuscirà a evolversi.
Le nuove stime sull’economia
A proposito di economia, la Fed indica come le condizioni economiche possano evolversi in maniera tale da richiedere incrementi “graduali” dei tassi, con un livello che comunque rimarrà al di sotto dei livelli di lungo termine ancora per qualche tempo. Migliorano intanto la spesa delle famiglie, gli investimenti, l’occupazione e l’attività economica, tingendo così un quadro che è difficile immaginare più incoraggiante per gli economisti della Fed (o quasi).
Per quanto attiene le previsioni di breve e medio termine, per il 2017 l’inflazione è stimata attestarsi all’1,9% con quella “core” che crescerà di pari misura. Per il 2018, la crescita dell’inflazione sarà del 2,1%, con l’inflazione “core” al 2%. Il tasso di disoccupazione dovrebbe scendere nel contempo verso il 4,5% medio annuo entro il prossimo anno.
Spostandoci al 2019, la Fed stima aumento del Pil dell’1,9%, disoccupazione al 4,5%, inflazione “core” al 2%. Tutte i dati revisionati ieri sono uguali o migliori rispetto ai dati che erano stati stimati a dicembre.
Che succede sul cambio EUR/USD?
Nelle prossime ore, cercheremo di comprendere che cosa accadrà al cambio tra euro e dollaro. Lo scenario che ci sembra più probabile è che l’euro possa essere messo sotto pressione dalla decisione della Federal Reserve, anche se i margini di deprezzamento non saranno poi molto elevati, considerando che il mercato ha in parte già scontato la notizia del rialzo tassi ben prima della sua effettiva conferma.
È altresì possibile che il clima di tensione intorno all’euro possa proseguire fino a maggio, quando avranno luogo le elezioni politiche francesi. Se l’euro riuscirà a passare indenne questo appuntamento (è per il momento probabile che sia così), la valuta unica europea inizierà a recuperare terreno in maniera lenta ma graduale.