Come da attese, la Federal Reserve ha alzato i tassi di interesse di riferimento. Una mossa che era lungamente auspicata, e che ritenevamo essere stata sufficientemente assunta dal mercato, e incorporata dalle quotazioni della valuta verde. Così, peraltro e in buona parte, è avvenuto: nelle ore successive all’annuncio del rialzo dei tassi fed funds, infatti, il dollaro è scattato in avanti, ma il balzo è più che altro un recupero del terreno che aveva perso nella mattinata (quando i dati macro erano risultati più deboli delle attese, con l’inflazione scesa più del previsto e le vendite al dettaglio che hanno fatto segnare una contrazione contro aspettative di rallentamento).
La decisione della Fed
Tornando alla scelta della Fed, l’istituto banchiere (o, meglio, il FOMC, il suo comitato di politica monetaria) ha scelto di alzare i tassi, collocandoli a 1,00-1,25%,. Nella sua decisione, la Fed ha poi lasciato invariato il sentiero atteso dei rialzi futuri, confermando un terzo rialzo per quest’anno, altri tre nel 2018 e ultimi tre nel 2019. Viene inoltre confermato lo scenario positivo dell’economia USA e ha indicato le linee per la normalizzazione del bilancio che verrà avviata entro fine anno, chiarendo che i reinvestimenti dei titoli in scadenza verranno ridotti inizialmente di 10 miliardi di dollari al mese e che ogni trimestre la riduzione sarà aumentata di altri 10 miliardi fino a raggiungere un ritmo regolare di riduzioni complessive di 50 miliardi al mese. Ad ogni modo, la Fed non ha fornito alcuna indicazione né su quando partirà il programma né sul punto finale di arrivo del bilancio.
A nostro giudizio, il terzo rialzo dei tassi Fed avverrà nel mese di settembre: successivamente, dovrebbe partire una fase di stand by nel percorso del rialzo del costo del denaro, che permetterà all’istituto banchiere federale di avviare la normalizzazione del bilancio nel 4° trimestre.
Come ha reagito il dollaro
Come anticipavamo, la reazione del dollaro è stata abbastanza coerente. Il rimbalzo che ha consentito di recuperare il terreno perso è infatti stato sospinto non tanto dalla decisione di alzare i tassi, quanto dalla conferma della prospettiva di una normalizzazione graduale ma continuativa della politica monetaria già nel medio-breve termine, a fronte di un’economia con una buona crescita e un’inflazione prossima all’obiettivo anche se leggermente più bassa.
Questo scenario, se confermato anche dalla prossima riunione, dovrebbe permettere al biglietto verde di ottenere un congruo sostegno, tenendo conto anche dell’allargamento attuale e atteso dei differenziali di tasso e di rendimento, soprattutto perché per tutto il 2017 nessun’altra banca centrale ha in programma di riprendere ad alzare i tassi.
Come investire sul dollaro
Nel breve periodo, pertanto, è ben possibile che il dollaro possa riuscire a rafforzarsi, soprattutto se i dati macroeconomici non provocheranno eccessive delusioni, e se le tensioni politiche non si acuiranno (lo scandalo Russia-gate sembra essere ben lungi dall’assopirsi). Al di là del breve termine invece il dollaro dovrebbe andare indebolendosi, anche in maniera non radicale, in funzione dell’atteso avvio del processo di normalizzazione della politica monetaria e/o del ciclo di rialzi dei tassi anche da parte delle altre principali banche centrali nel corso dell’anno prossimo.
Riteniamo pertanto che nel breve periodo vi siano ancora occasioni di rendimento per coloro che vogliono puntare long sul dollaro. Nel medio termine invece potrebbero essere aperti nuovi margini sull’euro, anche se tali margini non dovrebbero essere troppo significativi, visto e considerato che – almeno per il momento – il mercato sta scontando un sentiero di rialzi più cauto di quello che ha invece prospettato la Fed.
A proposito di euro, alla luce dell’esito del FOMC il profilo atteso del cambio non sembra aver subito particolari cambiamenti: opposto al dollaro, l’euro potrebbe arretrare nel breve termine, in attesa di un prossimo rialzo Fed a settembre, e poi procedere per un successivo rafforzamento, magari in concomitanza con l’avvio del processo di normalizzazione del quantitative easing da parte della BCE.