L’iniziale reazione di nervosismo dei mercati finanziari sull’annuncio della vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali USA è rientrata rapidamente nell’arco di alcune ore, aprendo degli scenari interessanti sul futuro del Forex, e non solo: il dollaro è infatti risalito, recuperando integralmente la correzione iniziale e – se non vi saranno nuove pesanti e protratte turbolenze di mercato – sembrano mantenute le condizioni per un rialzo dei tassi fed funds nella riunione di dicembre, come era quasi “certo” prima dell’8 novembre. Non solo: nei mercati finanziari sta emergendo la sensazione che la vittoria di Trump possa addirittura fornire una ragione in più, dal punto di vista dei fondamentali, per alzare subito i tassi, considerando che il programma fiscale di Trump è molto più espansivo di quello che sarebbe stato con una presidenza Clinton, e che la politica monetaria potrebbe pertanto “compensare” gli effetti di quella fiscale.
In aggiunta a ciò si tenga conto che gli aspetti favorevoli al dollaro di un’amministrazione Trump sono legati principalmente all’impegno del nuovo presidente a implementare politiche economiche di pieno sostegno alla crescita, con stimata riduzione della tassazione per le imprese, aumento della spesa in infrastrutture con maggiore deficit, e alla prospettiva di condizioni fiscali più agevolate per il rimpatrio degli utili delle imprese statunitensi all’estero.
Naturalmente, guai a pensare che i buoni movimenti di cui sopra abbiano dipanato completamente i timori di shock. A parte l’incertezza che rimane sull’attuazione effettiva dei programmi, e a parte l’incertezza legata al modo in cui Trump (senza precedenti esperienze politiche) si muoverà nella sua nuova carica, l’aspetto più critico è certamente rappresentato dal rischio di implementazione di nuove politiche protezionistiche visto e valutato che, dalle premesse formulate dallo stesso Trump, dovrebbe essere a rischio sia la ratifica del TPP (Trans Pacific Partnership) negoziato da Obama sia gli altri trattati internazionali, primi fra tutti quelli di libero scambio con Canada e Messico. Trump ha inoltre affermato in campagna elettorale di voler metter mano all’aumento delle tariffe commerciali con la Cina, anche se l’entità degli aumenti è talmente marcata che alla fine il Congresso potrebbe rifiutarsi di approvarli, mediando dunque le intenzioni di Trump. Sul fronte geo-politico, una significativa fonte di incertezza deriverà dalle posizioni che gli Stati Uniti sceglieranno di assumere in relazione al Medio Oriente e alla Russia.
Chiarito ciò, di contro l’euro ha perso le posizioni che aveva acquisito nel post-elezioni, cedendo tutti i guadagni della settimana scorsa. L’attenzione si sposta ora – salvo riacuirsi di shock finanziari – sul tema della probabile divergenza tra Federal Reserve e Banca Centrale Europea, che a dicembre dovrebbero rispettivamente alzare i tassi e estendere il QE. Se così fosse, si aprirebbero nuovi margini per un nuovo calo sotto quota 1,08 EUR/USD, anche se è ben possibile che per esaurire la spinta ribassista siano prima necessari spunti macro più significativi, ovvero delusioni forti dai dati dell’area o sorprese importanti dai dati USA. Così come l’euro, anche la sterlina ha fatto marcia indietro contro dollaro dopo l’ampio rimbalzo precedente, ma è comunque scesa meno dell’euro. La maggior capacità di tenuta riflette ancora l’esito della riunione BoE di giovedì scorso e la simultanea sentenza dell’Alta Corte, secondo la quale l’iter di Brexit richiederebbe l’approvazione del parlamento, passaggio che riduce la probabilità di un’hard Brexit quale parrebbe invece prospettarsi se si lasciasse mano libera al governo. Analogamente lo yen, dopo un iniziale rimbalzo, non solo è sceso ma ha anche inaugurato nuovi minimi recenti. La prospettiva che il calo dello yen prosegua sembra essere supportata non solo dall’avvicinarsi del rialzo Fed ma anche dall’eventualità che l’anno prossimo la Fed possa alzare i tassi più delle attese per compensare il maggior allentamento fiscale prospettato da Trump.