Dollaro ancora sui massimi: tutto dipenderà dalla Fed?

Come più volte abbiamo anticipato su queste pagine, il dollaro statunitense è riuscito a chiudere il 2016 mantenendosi sui massimi toccati nel periodo immediatamente post-FOMC dello scorso 14 dicembre, eccezion fatta per un calo – comunque modesto – avvenuto nel corso dell’ultimo giorno dell’anno, perlopiù legato a fattori tecnici piuttosto che a determinanti endogene o esogene di specifica natura. I dati macro statunitense pubblicati nella scorsa settimana si sono inoltre confermati come molto positivi: la fiducia dei consumatori, in particolare, è salita molto più delle attese, rivedendo massimi abbandonati nel 2001 e ispirando nuovo ottimismo per l’evoluzione del dato nella prima parte del nuovo anno.

Federal Reserve: le sue mosse saranno decisive

A questo punto, è lecito ritenere che nel corso del 2017 la dinamica del dollaro statunitense sarà influenzata in misura ancora più significativa del passato dall’azione della Federal Reserve. Con uno sforzo di sintesi, è infatti possibile affermare che se l’istituto monetario federale dovesse fare più dei tre rialzi dei tassi indicati a dicembre a margine dell’ultima riunione del Comitato di politica monetaria (con effetti già prezzati dal mercato), il dollaro statunitense continuerà a salire superando i massimi dell’anno scorso e, forse, andando a minare la quota della parità. In caso inverso, è possibile che il trend rialzista del biglietto verde possa andare gradualmente esaurendosi e, di contro, l’euro possa riprendere posizioni, anche in vista di una prossima normalizzazione della politica monetaria della Banca Centrale Europea.

In tal senso, saranno molto importanti le verifiche sulle misure di politica fiscale che verranno attuate sotto la nuova presidenza di Donald Trump e che saranno decise nei primi due-tre mesi dopo l’insediamento alla Casa Bianca il 20 gennaio prossimo. Nel breve termine, invece, se dai dati macro in corso di pubblicazione non dovessero giungere delle sorprese particolarmente importanti, è probabile che il biglietto verde possa stabilizzare le quote raggiunge in prossimità dei massimi post-FOMC. Occhi aperti pertanto alle pubblicazioni dell’ISM manifatturiero domani (le attese sono di crescita), dell’ISM non-manifatturiero giovedì (le attese sono di lieve calo) e soprattutto dell’employment report venerdì (le attese sono positive).

Euro: il 2017 ultimo anno del QE?

Parallelamente, l’euro ha chiuso il 2016 poco sopra i minimi post-FOMC, in area 1,03 EUR/USD, toccando un massimo a 1,0653 EUR/USD l’ultimo giorno dell’anno, per un livello che tuttavia – come abbiamo già avuto modo di ricordare – è stato raggiunto prevalentemente per motivazioni di carattere tecnico, piuttosto che per meriti veri e propri. Pertanto, anche se non siamo più sui livelli imminenti post-FOMC, ile attuali soglie indicano ancora la prevalenza di rischi verso il basso sull’euro, con downside verso la parità.

In tal senso, come dovrebbe essere piuttosto chiaro a questo punto della trattazione, il principale fattore ribassista è rappresentato dall’eventualità che la Federal Reserve possa fare quest’anno più di tre rialzi dei tassi, con l’incertezza legata agli appuntamenti elettorali in Europa (Olanda, Francia e Germania – non escluso anche Italia) ad amplificare potenzialmente il downside. Di contro, non sembra più poter rappresentare un fattore ribassista l’azione della Banca Centrale Europea, che nel 2017 dovrebbe portare avanti acquisti a un ritmo di 60 miliardi di euro al mese, e prepararsi al tapering, con conseguente normalizzazione della propria politica monetaria.

Per quanto concerne gli ultimi dati macro, quelli del momento sono principalmente relativi ai PMI finali di dicembre, pubblicati poche ore fa, che hanno confermato l’ulteriore salita della stima flash su livelli coerenti con una lieve accelerazione del prodotto interno lordo nel corso del quarto trimestre, con un’attesa che dovrebbe venire rafforzata dagli indici di fiducia in uscita venerdì, mentre mercoledì sarà il giorno della pubblicazione dei dati dell’inflazione di dicembre, attesa ancora in salita all’1,0 per cento, per un massimo livello da settembre 2013 ad oggi.

Yen giapponese e Sterlina britannica

Concludiamo infine con un rapido sguardo sulle altre principali valute. Lo yen giapponese, così come l’euro, ha chiuso il 2016 in prossimità dei minimi post-FOMC in area 118 USD/JPY: è tuttavia possibile che, contrariamente alla valuta unica europea, il calo non sia ancora terminato e possa proseguire fino a 120-125 USD/JPY. Anche la sterlina ha concluso il 2016 completando il calo post-FOMC in area 1,22 GBP/USD contro dollaro e 0,86 EUR/GBP contro euro: l’avvio dei negoziati di Brexit in una data non ancora nota ma entro e non oltre il 31 marzo sarà cruciale per orientare il corso della sterlina. Come più volte abbiamo ricordato qui su Il Corsivo Quotidiano, una condotta negoziale che sia in grado di garantire l’accesso al mercato unico potrebbe infatti favorirne il recupero. Nel breve termine e in attesa che venga finalmente invocato l’articolo 50, l’incertezza mantiene dei rischi verso il basso, da gestire con attenzione in seguito alla pubblicazione dei dati macro: dopo il buon dato di Pil dello scorso 23 dicembre, con crescita del terzo trimestre da 0,5 per cento a 0,6 per cento trimestrale, l’attesa è per il PMI manifatturiero, il credito al consumo, il PMI servizi.

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