Investire sul petrolio a febbraio 2017: view positiva sul settore

Il comparto delle materie prime e, in esso, quello dell’energia e del petrolio, sul finire del 2016 ha vissuto un momento di forte recupero in virtù della raggiunta intesa fra i produttori OPEC e non-OPEC per un taglio della produzione a partire dal 1 gennaio 2017. Nonostante l’evidente scetticismo circa la reale applicazione di una simile riduzione, l’incontro di Vienna dello scorso 21-22 gennaio ha ribadito come Arabia Saudita, Algeria e Kuwait abbiano già effettuato dei tagli molto significativi (e a volte maggiori) del previsto, e fuori dall’area OPEC è stata la Russia a procedere più celermente di quanto aveva originariamente stabilito. Alla luce di quanto sopra, è emerso che i produttori hanno già tolto dal mercato circa 1,5 milioni di barili: non male, come punto di inizio.

Troppo bello per esser vero: le incognite sull’accordo

Fin qui, gli aspetti presenti e positivi. C’è da dire, comunque, che esiste ben più di qualche incognita sull’accordo. Su tutte, bisogna pur sempre premettere il dubbio che l’OPEC possa effettivamente gestire un aumento della produzione da parte dei membri estranei ai termini dell’intesa: come si comporterà in questo caso? Ancora, bisogna tenere a mente che l’accordo è valido (per il momento) per sei mesi, ovvero fino al prossimo meeting OPEC previsto per il 25 maggio 2017. Un mancato rinnovo del taglio produttivo in quella occasione (saltato, magari, per il comportamento non concorde di qualche membro) avrebbe conseguenze molto forti dal lato dell’offerta, tali da pregiudicare gli sforzi fin qui effettuati. Infine, gli analisti si domandano come si evolverà la domanda di petrolio nell’anno e in quello prossimo: siamo sicuri che si manterrà sostenuta come oggi?

Un calo “documentato”

Senza spingerci troppo oltre, per il momento non possiamo che ricordare come dall’ultimo report mensile dell’OPEC (Monthly Oil Market Report) sia emersa una produzione di greggio effettivamente in calo nell’ultimo mese, dopo l’accordo sul taglio coordinato dell’offerta di 1,8 milioni di barili al giorno deciso a fine novembre. L’implementazione dell’accordo, peraltro, sembra proseguire in modo rapido in virtù dell’impegno del principale produttore, l’Arabia Saudita, che ha influenzato in maniera decisiva la riduzione della produzione OPEC già a 33,085 milioni di barili al giorno a dicembre, con flessione di 221.000 barili al giorno rispetto a novembre. La maggiore riduzione è stata effettuata proprio dall’Arabia Saudita, che ha portato l’output a 10,47 milioni di barili giornalieri. Ricordiamo che complessivamente l’OPEC ha condotto le previsioni di crescita della produzione dei membri non-OPEC nel 2017 a 120.000 barili dai 300.000 barili precedentemente indicati, grazie all’accordo siglato con la Russia.

Il mercato tornerà in deficit entro 6 mesi

A proposito di flessioni nella produzione e di riequilibri di mercato, notiamo come l’ultimo report mensile Oil Market Report dell’IEA (International Energy Agency), abbia dichiarato come la domanda mondiale di petrolio sia stata superiore alle attese nel 2016, a quota 1,5 milioni di barili al giorno, ma dovrebbe segnare il passo calando leggermente nel 2017 a 1.300.000 barili di barili al giorno, anche con una riduzione della produzione OPEC. L’incremento maggiore del previsto della domanda, in precedenza stimata a 1,4 milioni di barili al giorno per il 2016, è determinato dalla spinta della domanda nel quarto trimestre del 2016, a causa di un clima invernale particolarmente freddo nel nord dell’Europa.

Quanto sopra non sembra tuttavia scoraggiare le previsioni più ottimistiche da parte dell’IEA, che evidenzia come nel corso del 2017 la crescita della domanda rallenterà un po’ per assestarsi a 1,3 milioni di barili al giorno, a causa dell’aumento del prezzo del petrolio, insieme al possibile apprezzamento del dollaro USA. Sempre in merito alla domanda, la IEA sostiene che sarà ancora la Cina ad accrescere la propria domanda, forte dei recenti dati sul PIL migliore delle attese (+ 6,7%, in pieno range 6/7% previsto dal governo): a conferma di ciò, si noti come la richiesta cinese di petrolio nel mese di dicembre sia salita del 3,4% su base annua a 52,8 milioni di tonnellate.

E gli Stati Uniti che fanno?

Nelle ultime rilevazioni contenute nello Short-Term Energy Outlook, l’EIA (Energy Information Administration) ha dichiarato che il calo della produzione di petrolio negli Stati Uniti è probabilmente esaurito: pertanto, il blocco alla produzione di greggio iniziato circa due anni fa è terminato con buone possibilità, e l’attività produttiva dovrebbe ora tornare a crescere. Tant’è che l’EIA nella sua elaborazione, stima la produzione di petrolio in crescita nel 2017 di 110.000 barili al giorno, mentre nel percedente report l’istituto aveva stimato una flessione di 80.000 barili al giorno: la stima per il 2016 è stata giòà rivista al rialzo di 40.000 barili al giorno a 8,89 milioni al giorno, contro i 9,42 milioni di barili giornalieri del 2015. Per il 2018 l’EIA stima un incremento della produzione USA di petrolio di 300.000 barili al giorno a 9,3 milioni di barili.

Sul fronte della domanda, gli analisti ritengono che nel 2017 la richiesta statunitense sarà maggiore di 260.000 barili al giorno, contro i precedenti 240.000 barili al giorno, per poi salire di 370.000 barili al giorno a 20,22 milioni di barili. Sul fronte del prezzo, l’EIA ritiene che il prezzo medio del WTI nel 2017 arriverà da 50,66 a 52,50 dollari al barile, per poi giungere a 55,18 dollari nel 2018. Per il Brent, la stima parla da 51,66 dollari al barile a 53,50 dollari nel 2017 e 56,18 dollari al barile nel 2018.

Conviene investire nel petrolio?

Giungiamo infine all’appuntamento con la domanda più importante. Ovvero, conviene investire nel petrolio? La risposta è tendenzialmente positiva, anche se non bisogna mai dimenticare la cautela che prevale negli operatori sul petrolio, che rimangono molto concentrati nel comprendere se avverrà o meno l’atteso rispetto degli accordi presi, considerato che più volte in passato i membri dell’OPEC non hanno rispettato i tetti di produzione concordati. A supportare tali timori vi sono numerose evidenze: si pensi, ad esempio, al fatto che non esiste un vero meccanismo sanzionatorio per gli eventuali trasgressori, e che alcuni livelli di riferimento annunciati non sono giudicabili coerenti con le realtà dei Paesi produttori coinvolti. Un simile scenario non permette pertanto di dare una risposta pienamente positiva alla domanda: se infatti i presupposti sembrano essere rosei, esiste altresì un margine di incertezza grigio fra gli operatori. Infine, occhi aperti sugli Stati Uniti, poiché un rialzo duraturo delle quotazioni petrolifere renderà sempre più competitivo lo shale-oil…

Esperto di trading e finanza, mi dedico alla stesura di articoli accurati e informativi, con l'obiettivo di fornire approfondimenti e conoscenze utili per orientarsi nel complesso universo degli investimenti.

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