Gli italiani si dimostrano sempre più sfiduciati, con proporzioni superiori alle attese. O, almeno, così sembra dal recente studio condotto dall’Istat, con l’indice sulla fiducia che peggiora più del previsto passando da 111,2 punti a 109,2 punti, pur mantenendosi comunque al di sopra della media di lungo termine, pari a 101,9 punti. Ma perché, dopo un periodo di ripresa ottimistica, sta tornando il pessimismo?
Le ragioni della rinnovata sfiducia
A guardare il dettaglio del report statistico curato dall’Istat, appare evidente come il calo dell’indicatore di fiducia (cumulato tra famiglie e imprese) sia figlio di una valutazione più pessimistica del clima economico (125,5 punti contro un precedente 129,8 punti), in discesa per il quinto mese consecutivo. I giudizi sulla situazione personale presente (107,2 punti da 109,1 punti) e futura (112,2 punti da 114,8 punti) tornano inoltre a calare dopo il recupero di luglio. L’indice composito del clima di fiducia delle imprese scende da 103,0 punti a 99,4 punti. La fiducia presso le imprese manifatturiere è calata a 101,1 punti ad agosto da 102,9 punti, con l’indice che è quindi tornato al di sotto della media di lungo termine e sui minimi da inizio 2015, quando il PIL era tornato a crescere.
Tra gli altri dati, il dettaglio dell’indagine evidenzia un calo del libro ordini di 4 punti a -18, livello ancora in linea con la media di lungo termine, con un deterioramento che è in parte riconducibile alle condizioni di domanda interna (-4 punti a -23; media di lungo termine: -24), e in parte alle condizioni di domanda estera (-4 punti a -18; media di lungo termine: -20). Le scorte risultano essere stabili per il quarto mese consecutivo a +3, livello ancora al di sotto della media di lungo periodo. Per il momento il calo di domanda sembrerebbe essere temporaneo: prevalgono ancora le imprese che si attendono un aumento della produzione futura (-1 punto a 9; media di lungo termine: 10,5). Le imprese, inoltre, dopo il calo di luglio (-3 punti) non prevedono un ulteriore peggioramento del quadro economico generale. Le imprese – ricorda un dossier Intesa a margine della pubblicazione di tale report – confermano una lieve flessione delle intenzioni ad assumere rispetto a giugno ma l’indagine non evidenzia un ulteriore peggioramento dell’indice occupazionale in agosto. Infine, si noti come lo spaccato settoriale evidenzia un peggioramento di clima più marcato nel comparto dei beni intermedi (-2,8 punti) seguito dall’industria di beni capitali (-2,2 punti), mentre nel settore beni di consumo le condizioni sono poco variate (-0,8 punti). La fiducia è peggiorata anche presso le imprese che operano nei servizi di mercato (a 102,4 da 108,3) e nel commercio (97,1 da 101,3), risulta, invece, meno marcato il calo nelle costruzioni (a 123,5 da 126,2). Nei servizi di mercato sono peggiorati sia la valutazione corrente che le attese, il calo è più marcato nella grande distribuzione dove i giudizi sulle vendite cedono di 13 punti portandosi a zero. Nel commercio al dettaglio, il saldo sulle vendite correnti è tornato in territorio negativo per la prima volta da gennaio. Nel complesso, l’indagine è deludente e non fa sperare in un recupero di attività economica nei mesi estivi dopo lo stallo registrato in primavera. Il dato di agosto per l’Italia è in linea con le indicazioni da Francia e Germania. Va tuttavia considerato che le indagini di fiducia nei mesi estivi tendono ad essere piuttosto volatili e non è del tutto escluso che si possa trattare di un effetto psicologico ritardato del voto inglese.
Disoccupazione
Migliora, invece, il contributo del mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione è infatti calato a 11,4% a luglio da 11,6% del mese precedente, tornando sui livelli di maggio. La flessione può essere facilmente ricondotta alla riduzione dei senza lavoro di 39 mila unità, e coinvolge sia gli uomini (-1,4%) sia le donne (-1,2%), con tutte le classi di età fatta eccezione per i 15- 24enni (+23 mila) e i 25-34enni (+38 mila). A fronte del calo dei senza lavoro si riduce il numero degli occupati dello 0,3% m/m (63 mila unità) rispetto a giugno e si interrompe quindi la tendenza degli ultimi mesi. Il calo degli occupati è attribuibile sia agli uomini che alle donne e riguarda per lo più i lavoratori indipendenti (-68 mila) mentre i dipendenti restano invariati. La stima degli inattivi tra i 15 e i 64 anni a luglio aumenta dello 0,4% (+53 mila), dopo il calo registrato nei quattro mesi precedenti.
Crescita economica
Sono infine deludenti i dati relativi al Prodotto Interno Lordo, con la seconda lettura del PIL nel 2° trimestre 2016 che ha confermato la stagnazione dell’attività economica evidenziata dalla prima stima (dopo che a inizio anno il PIL era cresciuto di 0,3% t/t). In ogni caso, grazie soprattutto a una rilettura dei dati precedenti (in particolare del 3° trimestre 2015), la variazione annua è stata riletta al rialzo a 0,8% a/a da 0,7% (comunque in calo dall’1% di inizio anno). Nel trimestre il contributo positivo dalla domanda estera (+0,2% t/t) è stato interamente compensato dall’apporto negativo (in egual misura, un decimo per parte) da domanda domestica (in particolare investimenti in macchinari) e scorte.
Appare dunque sempre più difficile che si possa arrivare a una crescita dell’1% nel 2016: per raggiungere tale obiettivo occorrerebbe infatti una crescita molto forte nel secondo semestre (con una media di 0,4% t/t in media). Arduo che un simile scenario possa effettivamente concretizzarsi.