Jobs act : ecco gli ultimi aggiornamenti

Molto si è obiettato sul jobs act, al punto che le altre riforme sono passate quasi in sordina, come se le loro conseguenze fossero insignificanti. In realtà, vi sono ben altri cambiamenti degni di un’attenzione, almeno paragonabile, a quella rivolta per il jobs act. Tra questi dobbiamo sicuramente includere la riforma sulle partite iva, dato che non solo il lavoro è in crisi, ma anche il sistema delle imprese si piega nelle proprie difficoltà, alle quali le istituzioni sembrano quasi indifferenti.

Le imprese? Che dire della riduzione dell’Irap? Certamente, da una parte si taglia e dall’altra si fa l’opposto. E’ quello che avvenuto per il concepimento di nuovi regimi di tassazione per gli artigiani ed i liberi professionisti che facevano parte dei regime minimo contributivo. Viene modificato il tetto minimo imponibile e con ciò anche la contribuzione complessiva al carico fiscale. L’attenzione della politica si concentra quasi esclusivamente sulle grandi imprese. Uno dei pochi settori strategici che ci sono rimasti: la produzione di acciaio! Ma giusto per non perderli tutti.

L’articolo 18 è veramente così importante, nel senso: Come ci ha tutelati fino a questo momento? In maniera piuttosto irrisoria, diremo, dato che già tempo fa è stato dato ampio spazio alla discrezionalità del giudice. I sindacati ed i lavoratori non sono d’accordo su questo punto e si ostinano a dire no all’abolizione di uno stralcio di legge, di per sé disorganica e poco unitaria, che è già stato ritoccato a dovere.

In ogni caso, in questi giorni è stato, per il momento, concluso:

  • No alla retroattività delle conseguenze. A partire dai nuovi contratti, pertanto, entrerà in porto il provvedimento, ormai mediaticamente conosciuto come “Jobs Act” e presentato come tale dai politici “promotori” dell’iniziativa. Renzi ha una caratteristica nel suo carisma che ha imparato a coltivare nel tempo: “O si parla bene, o si parla male di me. L’importante è che se ne parli”. Quindi, passa dalle 80 euro al Jobs Act e, come per ogni polverone, cerca sempre di attirare attenzione, definendo ogni più piccola riforma e trovando le argomentazioni utili a scatenare le classiche “fratture” dell’opinione pubblica a cui siamo abituati. Peccato che i problemi siano ben altri.
  • Niente più “opting out”, ovvero non ci sarà il super indennizzo, rimpiazzante l’obbligo al reintegro del lavoratore. Quando vi deve essere reintegro? Quando il licenziamento è discriminatorio o quando il fatto materiale non sussiste (licenziamento nullo). Quindi, è stato come ricompreso in 2 macro-categorie, da molti definite assai marginali rispetto alle casistiche che possono presentarsi nella realtà: l’incongruenza tra motivo del licenziamento e sua dimostrabilità nella realtà, la discriminazione. Il reintegro è possibile solo in questi casi. Un’azienda può licenziare per motivi economici? Sì, se è fattivamente dimostrabile.
  • Se il licenziamento non è nullo quanto bisogna pagare? 2 Mensilità per ogni anno di anzianità del lavoratore. Un minimo di 4 mesi ed un massimo di 2 anni di retribuzione.
  • Nulla cambierà per le piccole aziende, con un numero di dipendenti inferiori a 15

Capiamo lo sdegno e la paura del “licenziamento facile”, soprattutto nella prospettiva di una società altamente propensa al “nepotismo”, soprattutto qui in Italia. Sarebbe molto più semplice così, senza motivi particolari (ma deve trattarsi di un fatto oggettivamente dimostrabile, come realmente esistente), liberare un posto per destinarlo al figlio dell’amico, ad esempio, e soprattutto in questi tempi di crisi qui in Italia.

Senz’altro, tale riforma creerà un grosso “grattacapo” per i giudici che si troveranno a dover valutare l’effettiva sussistenza del fatto materiale, alla base del licenziamento, e solo per i neo-assunti, tra l’altro, con evidente eterogeneità, lacunosa, tra i vecchi contratti ed i nuovi contratti.

Giornalista indipendente e trader privato. Sono laureato in Economia e finanza e mi occupo di analisi finanziarie e di notizie sull'economia.

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