Posizioni prudenziali quelle assunte dagli investitori nel comparto delle materie prime. Una prudenza dettata dal quadro di incertezza che si sta acuendo in orbita internazionale, e che deriva principalmente da quanto sta accadendo nella situazione mediorientale e in particolare in Siria, con gli Stati Uniti sempre più pronti a sfruttare il regime di Assad come perno di una nuova politica estera piuttosto aggressiva. Un approccio che non può certamente lasciare tranquilli gli operatori, mentre prevalgono le apprensioni legate al rialzo dell’offerta petrolifera Usa.
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Materie prime
Ad ogni modo, può essere utile ricordare come sull’aumento delle tensioni geopolitiche sia stata piuttosto prevedibile la reazione di petrolio e di oro, delle valute rifugio e dei titoli di stato decennali tedeschi e americani che hanno intercettato l’avversione al rischio degli investitori: non si tratta, come intuibile, di un comportamento fuori luogo, anzi. In periodi in cui la propensione al rischio scende ai minimi livelli, sono i safe haven a beneficiarne.
Attenzione però a quel che potrebbe accadere in termini di squilibrio sul comparto petrolifero: gli ultimi dati Baker/Hughes indicano un nuovo incremento dell’attività di perforazione negli Stati Uniti per la dodicesima settimana consecutiva: le trivelle sono salite a 672 unità, +10 unità rispetto alla scorsa settimana, limitando così i margini di risalita delle quotazioni. Le esportazioni statunitensi sono salite al record di 1,1 milioni di barili giorno, con particolare dedizione verso i mercati aistici, dove si stanno registrando i segnali di massimo restringimento dell’offerta di petrolio, grazie agli sforzi OPEC di tagliare la produzione.
In questo ambito, l’unico pericolo potrebbe arrivare proprio dall’aggravarsi del conflitto in Medioriente, che potrebbe alimentare i timori dal lato dell’offerta. Lo scenario resta cautamente positivo sul petrolio ma gli accordi per limitare l’offerta, fra l’OPEC e gli altri produttori di materiale, dovranno essere estesi anche alla seconda parte del 2017, con il risultato di vedere rialzi più consistenti delle quotazioni petrolifere. Vedremo dunque se, e come, il prossimo meeting OPEC riuscirà a produrre i risultati attesi: l’impressione è che non sarà facile cercare di estendere la necessità del rispetto di nuovi tagli a tutti i player, ma il tentativo sarà comunque fatto.
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Passiamo ora ai mercati valutari, con il dollaro ai massimi da tre settimane nei confronti del paniere delle principali divise internazionali, grazie alla salita dei rendimenti dei Treasury: lo scenario di fondo per il dollaro è ancora impostato sulla necessità di tre rialzi Fed nel 2017, e conseguente apprezzamento della divisa statunitense.
Al di là di tale lecita premessa, non possiamo non ricordare come anche sui cambi stia prevalendo una sensazione di cautela, determinata dalla già accennata crisi siriana e delle rinnovate tensioni tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord, per il momento fortunatamente limitate alle accuse verbali.
Il cambio EUR/USD nelle ultime sedute è diminuito a causa principale del recupero di forza del dollaro e, dall’altra parte, del calo dell’inflazione dell’area euro, comunque particolarmente atteso, e in grado di rendere meno ricca di stress l’atteso cambiamento di strategia (a restrittiva) della Banca centrale europea.
Un evento che bisognerà seguire con particolare attenzione sarà inoltre quello elettorale, con il primo turno delle elezioni presidenziali francesi, in programma per il prossimo 23 aprile. A dar retta alle analisi più accreditate, il cambio tra l’euro e il dollaro dovrebbe calare di circa 5 punti percentuali in caso di vittoria della Le Pen, mentre dovrebbe guadagnare tra 1 e 2 punti percentuali in caso di successo di Macron. Ad ogni modo, al di là del fatto che tali analisi sono ben pronte per l’essere smentite dalla realtà dei fatti, quel che appare evidente è che lo scenario della vittoria della Le Pen, per quanto accreditata della maggioranza relativa dei voti francesi, non sembra essere alla portata di una facile realizzazione, anche a causa del sistema a doppio turno francese, che probabilmente andrà a favorire la coalizzazione dei voti sui candidati più tradizionali nella seconda tornata.
Insomma, l’euro rischia di finire nuovamente sotto pressione, ma riteniamo che una volta arginato il timore degli effetti post-elettorali, il tempo possa essere propizio per una nuova presa di posizione della valuta unica, che scalderà i motori per l’avvio di una lentissima risalita.
Per quanto attiene inoltre la sterlina, la valuta ha solo parzialmente recuperato sull’ipotesi di un possibile cambio della politica monetaria neutrale da parte della Banca d’Inghilterra. Tuttavia, sulla moneta d’oltre Manica stanno iniziando a pesare in misura notevole i rischi della Brexit: il governatore della BoE ha già sollevato alcune forti perplessità sugli scenari che potrebbero venire a determinarsi, e sempre più analisi ritengono che sarebbe opportuno iniziare a formulare diversi piani, anche piuttosto negativi, per la gestione di quel che verrà dalle negoziazioni in corso di avvio.
Concludiamo infine con lo yen, con il governatore Kuroda che ha confermato come l’impegno della Bank of Japan sia quello diretto a conservare l’attuale stimolo monetario finché l’inflazione non sarà stabilmente sopra il target del 2 per cento.