Al termine di una settimana particolarmente complessa per l’istituto di credito toscano (con il titolo di Mps ripetutamente sospeso), Monte dei Paschi di Siena sembra avere davanti a se diverse opzioni di rilancio, non tutte identicamente convenienti. Rimane, tuttavia, l’impressione che la risoluzione delle grane della banca senese sia il vero perno decisivo per la stabilità del sistema bancario italiano. E, di conseguenza, come proprio sulla banca senese andranno concentrati, già nei prossimi giorni, i più importanti sforzi decisivi per garantire il suo salvataggio e sul pronto sviluppo in ottica futura. Ma come?
Una breve panoramica. Principalmente, il lavoro maggiore è incentrato sulla gestione delle sofferenze (coinvolgendo il fondo Atlante), con i non perfoming loans che pesano sul bilancio di Mps come una spada di Damocle difficile da rimuovere. Contemporaneamente, però, si lavora anche sull’incremento di capitale (coinvolgendo magari qualche banca straniera) e, secondariamente, per soluzioni di natura industriale, con Ubi che sembra tuttavia aver rallentato, e con l’opzione che rimane dunque sullo sfondo.
Come se non bastasse, è palese che il Tesoro potrà essere chiamato a intevenire a sostegno dell’operazione, sebbene con l’Unione Europea non si sia ancora arrivati a un chiarimento definitivo. E così, in vista degli stress test, è possibile che possa essere ipotizzata la cessione di un pacchetto di sofferenze a un veicolo esterno, con successivo aumento di capitale che possa reintegrare le perdite derivanti dalla vendita dei crediti (con lo Stato garante, e i risparmiatori che verrebbero di fatto esclusi da qualsiasi intervento “nocivo”).
Aggiungiamo inoltre che negli ultimi giorni sono state pubblicate alcune stime che ribadiscono come per poter salvare Mps servirebbero almeno 20 miliardi di euro. Una cifra certamente ragguardevole, che solamente lo Stato italiano sembra essere in grado di mettere sul piatto.
Ubi e gli stress test. La partita per il Mps sembra dunque essere entrata nelle fasi più decisive, e l’incubo del 29 luglio (giornata in cui verranno diffusi gli esiti degli stress test, che per l’istituto toscano dovrebbero essere piuttosto severi) è oramai dietro l’angolo. Ed è per questo motivo che negli ultimi giorni, e nemmeno tanto in silenzio, Ubi sarebbe stata al centro di un vero e proprio pressing per cercare di comprendere se sia o meno interessata a contribuire attivamente al salvataggio di Mps attraverso una già ricordata soluzione di natura industriale.
Ebbene, stando almeno a quanto è trapelato a mezzo stampa, Ubi non sarebbe poi così intenzionata a partecipare all’accennato salvataggio, poichè ad oggi non vi sarebbero le effettive condizioni di convenienza. Tuttavia, molto potrebbe cambiare se un accordo sottostante sarà trovato per ripulire Mps, e presentarla agli occhi dei possibili investitori con un biglietto da visita migliore…
Che fine faranno le sofferenze? Un discorso a parte riguarda le c.d. “sofferenze“, i crediti deteriorati (Npl), che il rumor più accreditato vedrebbe vicino alla vendita al fondo Atlante, appositamente strutturato (anche) per poter acquistare i crediti a rischio, sebbene la sua dotazione iniziale non sia certamente adeguata: le indiscrezioni sostengono che il fondo potrebbe arrivare ad acquistare fino a 10 miliardi di euro di sofferenze nette, con un prezzo pari al 30 o al 35 per cento del valore nominale (si tratterebbe probabilmente di un prezzo più “conveniente”, per la banca, rispetto a quanto è stato recentemente agito da Bper, che ha venduto le proprie sofferenze a un prezzo superiore al 20 per cento, pur senza indicare “quanto”).
Ebbene, proprio il tema delle sofferenze sembra essere legato all’ipotesi industriale di cui abbiamo fatto più cenni: appare evidente che Mps, ripulita dai non perfoming loans, potrebbe diventare una preda molto più appetibile (agli occhi di Ubi, e non solo) rispetto a quanto non sia oggi.
Il tempo sarà decisivo. Considerata la ricchezza delle mosse a disposizione della banca, e considerata altresì la difficoltà nel compiere improvvise accelerazioni, appare molto chiaro come tutto (o quasi) dipenda dalla tempestività con cui verranno assunte le decisioni. Arrivare al 29 luglio senza un piano preciso, e senza un progetto di mercato, sarebbe infatti ampiamente deleterio per l’immagine di Mps, e la Banca Centrale Europea potrebbe mettere nuova luce sullo stato di salute dell’istituto.
L’istituto guidato da Mario Draghi teme infatti un effetto domino che potrebbe essere fortemente dannoso per l’intero sistema bancario dell’Italia. Se nessuna decisione di salvataggio verrà assunta tempestivamente, è infatti possibile che la Commissione Europea rompa gli indugi e domandi al Monte dei Paschi di Siena di trovare un nuovo equilibrio tagliando le obbligazioni subordinate. Si scatenerebbe a quel punto non solamente un evidente mal di pancia per gli attuali investitori nell’istituto di credito toscano, quanto anche – e soprattutto – una vera e propria fuga dei potenziali nuovi investitori e, inoltre, un effetto domino che andrebbe a coinvolgere altre banche.
Pertanto, l’obiettivo è fare in fretta e, soprattutto, portare sui mercati e sulle scrivanie “europee” un piano serio e concreto. Attualmente la trattativa tra l’esecutivo e la Commissione Europea sulle conseguenze di un aumento di capitale garantito dallo Stato è tuttora in corso: Bruxelles ha già riconosciuto la norma che autorizza l’intervento preventivo per la ricapitalizzazione, e ha concesso la partecipazione ad Atlante 2, che dovrebbe acquistare i crediti deteriorati. Rimane invece lontana la distanza tra le parti per quanto concerne la deroga alle norme sul bail-in (il salvataggio interno che il governo vorrebbe evitare) e il c.d. “burden sharing“, ovvero, la condivisione degli oneri. La posizione della Commissione sembra chiara: se lo Stato interverrà a salvare Mps, gli obbligazionisti subordinati dovranno comunque pagare un prezzo.
Purtroppo, la recente sentenza della Corte di Giustizia europea sul salvataggio delle banche slovene del 2013 non aiuta. E secondo alcuni critici, è stata strutturata in maniera tale da non farlo: i giudici, infatti, se da una parte hanno confermato il principio che impose il taglio del valore delle obbligazioni subordinate, dall’altra parte ha anche ammesso la derogabilità dello stesso.
Insomma, il mosaico è tratto, ma è troppo frammentato per poter essere composto in poco tempo. E con la scadenza di fine mese che incombe, il pericolo crescente è che qualsiasi soluzione prospettata possa non essere appagante…