L’era Trump è iniziata e… non senza le prime incomprensioni e contraddizioni. Un contesto in fase di faticosa formazione che già in grado di fornirci i primi utili spunti per poter comprendere quali saranno le evoluzioni del dollaro nei prossimi mesi o, per lo meno, provare a intuirlo.
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L’economia USA è forte ma non “invincibile”
Dall’economia USA continuano ad arrivare segnali incoraggianti, ma rimane comunque elevata l’incertezza che consegue dalla politica fiscale che sceglierà di adottare il nuovo presidente. Per il momento, pertanto, non possiamo che assumere con dovuta positività gli elementi statistici più recenti, che appaiono ben in linea con una crescita robusta del PIL statunitense nell’ultimo trimestre del 2016: in crescita (poco meno delle attese) sono i consumi e le vendite al dettaglio, mentre il commercio retail a dicembre fatica maggiormente, pur compensato da una crescita delle vendite on-line nel periodo natalizio.
Bene anche le nuove indicazioni che arrivano dalle indagini di fiducia, con i sondaggi per i consumatori dell’Università del Michigan e del Conference Board poco mossi su livelli massimi di periodo. Altresì positive sono le indicazioni che ci arrivano dai settori produttivi con la produzione industriale del mese di novembre (ultimo periodo al quale è possibile riferire una statistica puntuale) che pone a segno un rimbalzo superiore alle attese, recuperando così dalla flessione del precedente mese di ottobre. I robusti fondamentali sono poi confermati dal recente Beige Book preparatorio del FOMC, che segnala una crescita contraddistinta da un ritmo modesto, e diffusa a tutti i principali settori dell’economia a stelle e strisce.
Lavoro vicino alla piena occupazione
Segnali positivi arrivano altresì dal mercato del lavoro, con l’employment report di dicembre che, nonostante i nuovi occupati siano stati inferiori alle attese, ha riscontrato un aumento sostenuto per la media a tre mesi (165 mila unità). L’indagine presso le famiglie evidenza previsioni di aumento della disoccupazione, in rialzo però di un solo decimo di punto al 4,7 per cento, dopo il calo di 3 decimi a novembre, e si giustifica in ragione di un incoraggiante incremento della partecipazione alla forza lavoro. Nel complesso, pertanto, i segnali che arrivano dal mercato del lavoro sono quelli di una graduale normalizzazione, e di un avvicinamento al tanto atteso scenario di pieno impiego (o di disoccupazione “fisiologica”), con spunti incoraggianti che arrivano anche sul fronte dei salari: a dicembre, infatti, cresce da -0,1% a +0,4% me se su mese la variazione delle retribuzioni orarie, alimentando così le pressioni al rialzo sui prezzi.
Inflazione prevista in crescita sopra il 2% a/a
Da quanto abbiamo sopra ricordato è derivato anche un incremento dell’inflazione che, secondo la rilevazione del CPI di dicembre, ha riscontrato un aumento dei prezzi al consumo dello 0,3% su base mensile, e del 2,1% su base annua: l’indice si riporta così per la prima volta dal luglio 2014 al di sopra della soglia del 2%.
Fed pronta a intervenire sui tassi
Con il quadro macro delineato così come si evince dai paragrafi precedenti, e in un più generale contesto in cui sembra prevalere l’incertezza derivante dall’evoluzione della politica fiscale, la Federal Reserve sta assumendo un atteggiamento flessibile, con toni che si fanno via via meno accomodanti. Lo scenario, riportato dai verbali della riunione del FOMC dello scorso mese di dicembre e articolato nei discorsi più recenti, riconosce l’approssimarsi della disoccupazione al livello di lungo termine e un tasso d’inflazione in avvicinamento al 2%. Alla luce di questo quadro, la presidente Yellen ha confermato il trend già delineato a suo tempo, con rialzi dei tassi “alcune volte ogni anno” nei prossimi tre anni per arrivare al 3% entro fine 2019.
Più sul breve termine, lo scenario per il 2017 è ancora quello di due o tre rialzi dei tassi (tre rialzi sono la scelta più probabile, visto e considerato che è stata messa nero su bianco al FOMC di dicembre), in funzione dell’evoluzione dei dati e visto il forte grado di incertezza derivante dai contorni ancora piuttosto vaghi del programma di politica fiscale. Yellen ha inoltre ribadito come non vi siano forti rischi di surriscaldamento per l’economia USA, valutato che la crescita non dovrebbe accelerare molto nel breve termine, anche perché è soggetta a freni esterni, non solo congiunturali ma anche strutturali. Come abbiamo ricordato più volte nelle ultime settimane, nel 2017 la Federal Reserve si svestirà dal suo ruolo di “leader” e vestirà quelli di “follower”, andando a reagire agli impulsi di politica fiscale con un’impostazione più restrittiva, assicurando un insieme integrato di politiche economiche, nella consapevolezza che l’attuazione delle riforme promesse dalla nuova amministrazione richiederà parecchio tempo.
Che fine farà il dollaro?
Valutato che la Fed ha più volte ribadito (nei verbali e nelle ultime uscite della presidente Yellen) che nel 2017 saranno tre i rialzi dei tassi stimati, molto dipenderà oltre che dalle riforme attese della nuova amministrazione, anche dall’evoluzione della stessa valuta verde. È implicito ritenere che l’apprezzarsi del dollaro statunitense sarà interpretato dai policy makers come una sorta di segnale di nuovo miglioramento dell’economia interna, con riflessi positivi però sul ciclo globale. A sua volta, tali riflessi positivi (indiretti) dovrebbero condurre a un sostegno concreto per le economie sviluppate ed emergenti e, contestualmente, alla normalizzazione delle politiche monetarie di quei Paesi, riequilibrando la forza del dollaro verso le principali valute.
Per quanto concerne più nel dettaglio il rapporto EUR/USD, se da un lato la Banca Centrale Europea sta rassicurando i mercati sul suo impegno espansivo (nonostante la marginale ripresa dell’inflazione in Europa, non sembra che la BCE possa smarcarsi così nettamente dalla sua politica super accomodante), dall’altro l’incertezza sulle politiche fiscali di Trump e il suo approccio protezionista, espresso durante il suo insediamento, hanno solo marginalmente indebolito il dollaro. Il cambio euro/dollaro appare in eccessiva ripresa negli ultimi giorni, ma lo scenario di fondo (rafforzamento costante della valuta USA grazie alla politica monetaria restrittiva della Fed e alle politiche di Trump, ma solo nel breve termine, prima dell’inversione di tendenza) dovrebbe essere garantito.