Petrolio, intesa Russia –Arabia non convince i mercati: ecco perché

Il recupero del prezzo del petrolio avvenuto nei tempi più recenti, ha subito un evidente rallentamento dopo la (poca) euforia suscitata dall’incontro tra Arabia e Russia, con i due produttori di riferimento per il greggio che si sono accordati per bloccare la produzione ai livelli di gennaio. Tuttavia, come risulta evidente dall’andamento delle quotazioni attuali del Wti e del Brent, l’intesa non ha prodotto gli auspicati approcci positivi.

I motivi di tale scetticismo sono d’altronde numerosi. A cominciare, ad esempio, dal fatto che l’accordo rimane comunque condizionato alla partecipazione degli altri principali produttori Opec (e non): tra di essi, l’Iran ha già prontamente affermato che non intende rinunciare alla sua quota di mercato, e anche se Venezuela e Qatar (come pare) confermasse la propria partecipazione all’accordo, Teheran non dovrebbe cambiare idea. L’ipotesi che tuttavia l’Iran faccia un passo indietro, corteggiato dalle delegazioni che nei prossimi giorni cercheranno di trovare un ammorbidimento, non è da escludere.

Ad ogni modo, anche nell’ipotesi in cui l’intesa sopra accennata possa produrre l’attesa condivisione tra i partecipanti, appare evidente come nel breve termine la strada di debolezza del greggio sia già segnata. A dicembre, l’OPEC, l’IEA e l’EIA hanno separatamente confermato lo scenario di ampio eccesso di offerta che, anche con la conferma dei livelli di gennaio, si protrarrà per diversi trimestri. Quanto sopra non significa, tuttavia, che la situazione non possa gradualmente rasserenarsi: è tuttavia importante non attendersi grandi sconvolgimenti nel breve termine che, come confermano le quotazioni attuali, non garantirà drastici cambi di rotta.

Previsioni sul petrolio

Per quanto concerne le previsioni di breve periodo, l’ottimismo tra i player di mercato sembra crescere con grande cautela e leggerezza: qualche settimana fa i dati della “Call con OPEC Crude”, cioè la quantità di greggio che il gruppo dovrebbe fornire per poter bilanciare i mercati, erano già stati revisionati in 29,6 milioni di barili giornalieri dalla stessa OPEC, in 29,8 milioni di barili dall’IEA e in 29,3 milioni di barili dall’EIA, in rialzo di 0,4 milioni di barili giornalieri rispetto al 2015. Per quanto attiene l’intero 2016, i tre principali previsori sono altresì più ottimisti per quanto concerne il progressivo riassorbimento dell’eccesso di offerta, e anche nel caso di un ritorno prepotente sul mercato del petrolio iraniano – che, come precisavamo poche righe fa, non sembra essere ben disposto a farsi da parte per favorire accordi al ribasso.

Stando ai dati che erano stati pubblicati a novembre, per il 2016 si prevede una domanda media globale pari a 95,1 milioni di barili giornalieri, in incremento dei 1,3 milioni di barili giornalieri rispetto al 2015. L’offerta non-OPEC è stimata in 57,5 milioni di barili giornalieri, in lieve ribasso di rispetto allo scorso anno e alle stime della seconda metà 2015. Ne deriva che la Call on OPEC Crude è di 31 milioni di barili giornalieri per l’intero 2016, in aumento di 1,4 milioni di barili giornalieri rispetto al 2015.

A nostro giudizio, tale velato e crescente ottimismo sul 2016 non dovrebbe comunque far passare in secondo piano i rischi al rialzo sull’offerta e al ribasso sulla domanda, considerato che il processo di miglioramento dei fondamentali sarà molto più lento di quanto precedente stimato, a causa della spinta – meno potete dell’auspicabile – della domanda mondiale. I rischi al rialzo interessano altresì i volumi che saranno effettivamente resi disponibili sul mercato fisico: accordo ArabiaRussia a parte, è difficile che una simile intesa possa coinvolgere un ampio numero di produttori. Così come è difficile credere che l’OPEC possa essere disposta a tagliare a buon mercato il proprio target cumulato di produzione del gruppo al solo fine di difendere i prezzi e, dunque, alleviare le difficoltà dei produttori non membri del gruppo.

Come se quanto sopra non fosse sufficiente per ispirare un po’ di cautela nel fronteggiare il mercato delle commodities e, in particolare, quello del petrolio, si ricorda come la fissazione dei livelli di gennaio non sia certo un radicale sconto rispetto alle produzioni precedenti. E, dunque, potrebbe emergere –già nel breve medio termine – l’impressione che a prevalere sarà la strategia dei membri OPEC che sono oggi contraddistinti da una maggiore solidità finanziaria e da minori costi produttivi, che potrebbero avere l’interesse esplicito a difendere le proprie posizioni, concedendo solo qualche sconto produttivo. Ulteriormente, non bisogna sottovalutare l’aspetto competitivo: in varie macro aree (si pensi a casa nostra, e all’Europa Centro Orientale), la concorrenza tra russi, sauditi e iraniani è abbastanza accesa e non certo facilmente spegnibile con accordi velleitari.

Archiviate tale riflessioni, bisogna commentare con un certo interesse l’intesa conseguita, che è la prima – negli ultimi 15 anni – a riguardare produttori OPEC (Arabia) e non-OPEC (Russia). Potrebbe pertanto essere non tanto una mossa produttiva di immediati effetti, quanto l’anticamera per ulteriori partnership o, quanto meno, manifestazioni di comune interesse. A conferma di ciò, il fatto che il ministro del petrolio saudita, Ali Al-Naimi said in Doha, abbia affermato che tale intesa è “l’inizio di un nuovo processo” che potrebbe richiedere “altri passaggi per stabilizzare e sviluppare il mercato”. Dichiarazioni che sembrano essere in linea con quanto lo stesso ministro affermò alcuni mesi fa, sostenendo che “la ragione per cui si potrebbe valutare un potenziale congelamento dei livelli di produzione è semplicemente l’avvio di un nuovo piano di sviluppo (…) Non vogliamo forti volatilità nei prezzi, non vogliamo una riduzione dell’offerta, vogliamo solo incontrare al meglio la domanda, e un prezzo stabile del petrolio”.

Insomma, l’accordo pone una buona base per la crescita di prospettive più serene, ma non è certo sufficiente per orientare il prezzo del petrolio su livelli più congrui e stabili. Nel breve termine, gli occhi saranno ora puntati tutti su Teheran, verso cui saranno altresì incentrati gli sforzi diplomatici di coloro che per il momento hanno aderito all’intesa (Russia, Arabia, Qatar, Venezuela). Perché, in fondo, come affermato dal ministro dell’energia russa Alexander Novak, “se Iran e Iraq non faranno parte dell’accordo, l’intesa non avrà un grande valore”.

Giornalista indipendente e trader privato. Sono laureato in Economia e finanza e mi occupo di analisi finanziarie e di notizie sull'economia.

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