Con la moneta unica oltre quota 1,20 contro dollaro, Mario Draghi che lancia l’allarme su una forza eccessiva e una riunione di ottobre che già si avvicina, la Bce è posta davanti al bivio di scegliere cosa fare nel meeting del prossimo mese, andando a deliberare – con ogni probabilità – le modalità di riduzione, con decorrenza gennaio 2018, dello stimolo monetario con il quale da tempo sostiene faticosamente l’economia dell’eurozona, ottenendo buoni e concreti risultati. Uno scenario non facile da decifrare, in cui la chiave fondamentale potrebbe essere rappresentata proprio dall’euro. Ma perchè?
Euro troppo forte?
L’apprezzamento dell’euro ha condotto la valuta unica europea a salire sopra quota 1,20 dollari. Un andamento che sta preoccupando il consiglio monetario dell’istituto banchiere di Francoforte, e che costituirà un fattore estremamente importante per le prossime decisioni. Ma quanto importante? Per il momento, la maggioranza degli analisti ritiene che sebbene la quotazione della valuta unica sarà tenuta in stretta osservazione dal board dell’Eurotower, difficilmente sarà in grado di impedire la realizzazione dei piani della banca.
Intuibilmente, la recente volatilità del cambio – come sottolineato dallo stesso Draghi – richiederà tuttavia un costante monitoraggio di quelle che potrebbero essere le possibili implicazioni per le prospettive a medio termine della stabilità dei prezzi.
Per il momento, stando a quanto asseriscono le nuove previsioni macroeconomiche dello staff della Bce, diffuse a margine della riunione, la stima di un simile scenario è di una riduzione dello 0,1% dell’inflazione nei prossimi due anni. Gli economisti della banca hanno anche rivisto in maniera positiva, al rialzo, le stime di crescita per quest’anno, portandole dall’1,9% che era stato previsto nel mese di giugno, al 2,2%, il ritmo più sostenuto dal 2007 a questa parte.
Proprio in virtù della buona revisione delle previsioni di crescita, è possibile che l’euro abbia potuto trarre il maggiore ossigeno per poter condurre un rialzo poderoso nella giornata di venerdì, evidentemente più che controbilanciando l’effetto delle parole di Draghi.
Ad ogni modo, appare evidente come l’andamento del cambio si stia giustificando altresì con la debolezza del dollaro, in virtù delle incertezze sulle politiche dell’amministrazione Trump. Se a luglio, come è emerso dal resoconto della riunione, il consiglio aveva espresso preoccupazione per l’euro forte, nel meeting di settembre ciò è stato ribadito dalla maggior parte dei partecipanti alla riunione, ha poi annunciato Draghi, indicando evidentemente che il futuro andamento del cambio avrà un peso nelle decisioni di ottobre, ma non ha precisato nessuna azione da parte della Bce.
Tapering, si attende l’annuncio nel meeting di ottobre
Insomma, alla luce di quanto sopra è ben possibile prevedere l’annuncio dell’uscita dallo stimolo monetario nel mese di ottobre, con una decorrenza e un ritmo molto graduale. Chiaramente, già nel meeting appena alle spalle si sarà presumibilmente parlato di ciò, ma è probabile che la discussione – come ribadito da Draghi – sia stata molto preliminare, e non si siano posti in essere degli atteggiamenti concretamente tangibili su quel che verrà, rimandando così ogni chance ad ottobre.
Sebbene al momento lo scenario centrale sia quello di una riduzione degli acquisti mensili di titoli da gennaio in poi (fino a dicembre, la Bce ha confermato che continuerà con un ritmo pari a 60 miliardi di euro al mese), il cosiddetto tapering del Quantitative easing potrebbe altresì slittare, visto e considerato che – opportunamente – Draghi si è lasciato una porta aperta a un eventuale annuncio successivo, se dovessero verificarsi circostanze impreviste. A nostro giudizio, comunque, se non vi saranno shock di rilievo, l’avvio del programma di riduzione degli acquisti dovrebbe essere annunciato nel consiglio del 26 ottobre, con la possibilità che alcuni dettagli tecnici vengano però precisati solamente nell’ultima riunione dell’anno, a dicembre.
E i tassi?
Come era intuibile – e non è certo la prima volta che agisce in tal senso – Draghi ha poi precisato che ogni modifica dei tassi d’interesse avverrà solamente al termine della fine degli acquisti di titoli. Il che significa, in altri termini, ammettere che i tassi potrebbero essere riportari al rialzo solamente alla fine del 2018 nella prima metà del 2019.
Ulteriore punto su cui Draghi si è poi soffermato a lungo è stato il limite legale del 33% dei titoli di un singolo emittente: in tal senso, il numero 1 dell’Eurotower ha affermato che si tratta di una soglia che la Bce non intende superare. Quanto poi alla ripartizione degli acquisti sulla base del peso dei Paesi nel capitale della Bce, Draghi ha altresì riconosciuto che ci sono stati spostamenti dalle percentuali e che la banca continuerà a utilizzare la flessibilità già esistente all’interno del programma.
Tornando al tapering, è abbastanza semplice cercare di comprendere per quale motivo si stia procedendo con così tanta cautela: occorre infatti molta prudenza per poter procedere in questa strada tortuosa, soprattutto dinanzi a un contesto in cui l’euro si dimostra sempre più forte. Nell’area euro, non solamente c’è un’inflazione che non riesce a sostenersi da sola (allontanandosi peraltro in prospettiva dall’obiettivo del 2%, tanto che per il 2019 si prevede solamente l’1,5%) quanto anche la crescita economica che, per quanto solida, dipende in buona parte dall’attuale politica ultraespansiva.
Pertanto, qualora le condizioni finanziarie dovessero ulteriormente irrigidirsi a causa dell’euro forte proprio mentre viene ridotto lo stimolo monetario con il tapering del quantitative easing, la Bce potrebbe trovarsi di fronte a una situazione piuttosto difficile da gestire. Quanto sopra non deve certamente indurre a pensare che il QE poss durare per sempre, o che bisogna osservare con troppo stress quel che accade: il rischio di recessione è passato, quello di deflazione anche, tanto che gli acquisti in simile misura sono oggi meno necessari.
Prolungare eccessivamente gli acquisti – o mantenerli troppo elevati – significherebbe correre altri rischi. Per Draghi c’è dunque un bivio molto difficile da decifrare, e da qui al mese di ottobre lo scenario potrebbe non essere così mutato rispetto ad oggi…