La svendita delle industrie ed affari nostrani. Cosa aspettarsi dal 2015

Ogni premessa, in tale direzione, viene sempre svuotata di senso, dato che un’attività, a prescindere dalla direzione di maggioranza, non la si può più definire per eccellenza italiana o straniera. Ma l’intenzione di chi vuole aprire uno spiraglio di riflessione non è di ambire a verve di natura nazionalista, quanto comunque rendersi conto che c’è qualcosa che continua a non andare nel nostro paese.

Il problema principale riguarda la morsa del fisco, tra chi fugge dal nostro paese verso paradisi fiscali e chi fonda la prosecuzione dell’attività (e non stiamo parlando di piccole attività) verso altri mercati più fiorenti, dopo essere stata sottoposto a frequenti piani di salvataggio da parte dello Stato (e stiamo parlando di grandi fabbriche come ad es. la Fiat).

Ora, la dimensione di Stato in Italia, dal momento dell’ingresso in Europa, ha un po’ divorziato dalla socialità di impatto con la struttura macro-societaria del territorio: non si interviene più. Anche le banche sono private e nulla tange allo Stato, se non evitare una crisi ancora più esplosiva. Ma l’impegno è anche dell’Europa, dal momento in cui concede all’Italia (in quanto appartenente all’Unione Economica e monetaria) di indebitarsi e di garantirsi di nuove iniezioni di liquidità sul mercato. Tra l’altro, non si può assolutamente paventare una semplice “lavata di mani”, uscendo dall’Europa dato che la moneta deve essere accettata dal sistema delle relazioni internazionali. L’Italia, tanto più degli altri paesi, non è un’economia autarchica: ha bisogno di potere di scambio sul mercato internazionale e, un’eventuale ritorno alla lira, certamente sarebbe “osteggiato” in tal senso dalle principali potenze. La lira non avrebbe più valore di scambio internazionale, poco ma sicuro. Molto probabilmente, l’Europa dovrà avanzare verso uno stadio a doppia circolazione monetaria, rivedendo le regole del Trattato.

Il nocciolo è questo: le aziende, le nostre grandi aziende, e quel nostro lo lasciamo appeso lì (come se ci riferissimo ad un senso di appartenenza, ormai vacuo, quasi un’insensatezza), stanno fallendo e hanno bisogno di riprendersi.

L’ultima proviene dall’Alitalia che dal 01 gennaio 2015 sarà per il 49% in mano araba. Concluso l’accordo Alitalia-Eithad che vede l’entrata in scena della compagnia araba. D’altra parte ciò arriva quasi come una manna dal cielo dato che si sostiene: “Avere la fiducia di investitori istituzionali esteri è un grande segno di ripresa dell’Italia che continua a destare interesse”. Così, è stato detto dell’interesse da parte di molti fondi di investimento per le banche in crisi, e tanto più per alcuni dei nostri più esclusivi brand rilevati dai cinesi, da concorrenti esteri e, in ogni caso, svenduti.

Le parole di fiducia per la ripresa dell’Italia sembrano quasi gettate al vuoto in quel marasma istituzionale che ormai convince veramente pochi. Gli accordi di acquisizione estera proseguono indenni mentre si vedeva in Renzi il nuovo eroe del Made in Italy di cui, ormai, si fa fatica parlarne, anche nell’industria alimentare.

Semplicemente, il ricambio generazionale che caratterizza l’Italia è poco legato alla dimensione nazionale (quasi non conta più per nessuno) e con questo tali notizie arrivano indifferenti, senza scuotere più di tanto l’attenzione del pubblico che, allo stesso modo, ormai, sempre con la stessa indifferenza, assiste alle “politiche”.

L’economia ed i mercati stanno perdendo l’egemonia delle “nazioni”, salvo pochi populismi. E così avverrà per i mercati in cui avranno senso di esistere quelle poche monete, accettate da tutti e che abbiano potere di scambio sul mercato internazionale. La valanga di petrolio da parte degli Usa, l’oro in controtendenza per la pressione dell’India, dato il risparmio sul petrolio ed il conseguente annullamento delle restrizioni sulle importazioni di oro è il segno di un cambiamento epocale: assisteremo a nuovi equilibri, ma non più sul piano nazionale, dove

Appassionato di economia e finanza, porto il mio parere indipendente sui temi economici di maggiore interesse. Nel 2008 sono diventato giornalista ed editore.

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