Investire nelle banche conviene?

Conviene veramente investire nelle banche, o è meglio tenersi alla lontana da quanto sta avvenendo all’interno del comparto creditizio? È quello che, in fin dei conti, si domandano tutti quei risparmiatori che nel loro portafoglio hanno (o stanno valutando di avere) titoli delle banche italiane, recentemente uscite vittoriose – o quasi – dall’esito degli stress test condotti dall’EBA: l’authority bancaria europea ha messo alla prova i patrimoni di 51 banche europee (5 italiane) simulando uno scenario economico di base e uno avverso. Come è andata a finire? E perché è possibile prendere impulso da quanto avvenuto per poter scegliere di ponderare la propria nuova strategia di investimento bancaria?

Gli stress test

Cominciamo dagli stress test archiviati che, nello scenario più avverso, ipotizzavano una flessione del PIL nel 2016-2018, un forte haircut dei titoli governativi (cioè, un taglio secco del loro valore nominale) e un crollo cumulato dei prezzi degli immobili residenziali e commerciali: insomma, una tempesta perfetta che avrebbe scoraggiato qualsiasi economia nazionale e che, in fin dei conti, non è stata così lontana dall’apparire in diverse nazioni europee.

In questo simile scenario negativo cinque istituti di credito italiani si sono destreggiati più o meno agevolmente: Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banca Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e UBI. Di queste cinque, solo Montepaschi ha mostrato un CET1 negativo (-2,23%) nel caso di scenario macroeconomico avverso, mentre tutte le altre hanno mostrato valori compresi fra 10,2% e 7,12%, con una prestazione di eccellenza da parte di Intesa Sanpaolo, che si è confermata essere una delle banche più stabili del vecchio Continente anche in casi particolarmente avversi. Per quanto concerne MPS, si tenga anche conto che contestualmente alla pubblicazione degli stress test negativi, l’istituto bancario ha ottenuto il via libera della Commissione Europea al proprio piano di risanamento.

Certo è che, per poter tradurre gli stress test effettuati in una sorta di attestazione di bontà del tessuto bancario italiano, bisognerebbe avere a disposizione molto altro. Oltre agli stress test sulle 51 banche principali, infatti, sono stati condotte altre decine di analisi sulle banche europee sotto la vigilanza di Francoforte (tra cui ben 10 sono italiane), coinvolte negli stress test BCE, e con mancata pubblicazione degli esiti (i risultati finali sono infatti stati comunicati in via riservata, senza alcuna formalizzazione al mercato). inoltre, si tenga conto che diversamente da quanto avvenne con gli stress test di due anni fa, questa ondata di analisi non prevedeva una formale soglia minima di coefficiente patrimoniale CET1 da rispettare. Insomma, guai a esagerare con l’ottimismo, ma è pur vero che gli stress test hanno regalato qualche soddisfazione agli istituti di credito italiani sui quali, peraltro, l’outlook è stato recentemente rivisto in stabile o in miglioramento da parte di numerose società di analisi.

E MPS?

In questa ottica tutto sommato abbastanza positiva, MPS corre il rischio di passare alla recente storia come la pecora nera del comparto creditizio. L’esito degli stress test l’ha d’altronde individuata come la banca non solo più debole d’Italia (almeno, tra le principali), quanto anche più fragile del campione europeo preso in esame dall’EBA, essendo l’unica ad aver mostrato un CET1 negativo (-2,2%) in caso di scenario macroeconomico avverso.

Ricordiamo tuttavia che contestualmente alla bocciatura agli stress test, la banca ha presentato – non senza fatica – un piano di risanamento che prevede l’incremento al 40% dei livelli di copertura media dei crediti deteriorati e l’intero smobilizzo delle sofferenze per 27,7 miliardi, a cui seguirà un aumento di capitale di circa 5 miliardi per coprire il fabbisogno di capitale in seguito alla cessione dei crediti in oggetto. Il prezzo di cessione dei NPL sarà di 9,2 mld, pari al 33% del loro valore lordo, per un prezzo medio più basso di quello a cui sono iscritti in bilancio (pari a circa il 40%) ma ben più elevato di quello riconosciuto dagli operatori specializzati sul mercato, che oscilla tra il 18% e il 22% (confortato anche dalle prime esperienze di cessione degli NPL da parte di altre banche che stanno compiendo le stesse mosse).

L’operazione poggerà esclusivamente su misure di natura privata, e prevede la cessione delle sofferenze a una società veicolo (SPV, special purpose vehicle), che si finanzierà tramite l’emissione di tre tranche di crediti cartolarizzati da collocare sul mercato. La tranche senior (meno rischiosa) da 6 miliardi di euro sarà assistita da GACS (Garanzia sulla Cartolarizzazione delle Sofferenze), con il ruolo dello Stato in qualità di garante. Per poter accelerare i tempi, e non dover essere legati all’esito di tali emissioni, è già stato previsto un bridge loan da 6 miliardi di euro da parte di JP Morgan. La tranche mezzanine del valore di 1,6 miliardi di euro sarà sottoscritta da Atlante II, mentre la tranche junior (cioè, la più rischiosa), pari a 1,6 miliardi di euro, verrà assegnata agli attuali azionisti della banca senese. Al fondo Atlante II, inoltre, saranno assegnati dei warrant, che permetteranno di sottoscrivere nuove azioni della banca ricapitalizzata, fino al 7% del capitale.

A questo punto, ammesso che l’operazione andrà a buon fine, MPS potrebbe ritrovarsi con un CET1 fully loaded ratio all’11,4% (stime indicate dalla stessa società), ben diverso dal risultato negativo ottenuto negli ultimi stress test, passando così dall’essere una delle banche più deboli del sistema continentale, ad essere una delle banche più solide e strutturate. Il piano industriale sarà infine presentato entro il mese di settembre 2016, con l’auspicio di completare l’aumento di capitale e il deconsolidamento dei crediti in sofferenza entro la fine dell’anno.

Stabilito quanto sopra, il piano di consolidamento e di messa in sicurezza della banca sembra essere realmente concreto (difficilmente le autorità europee ne avrebbero ammesso la sostenibilità), e se portato correttamente a termine permetterà realmente a MPS di allineare la sua qualità dell’attivo e la base di capitale alla media delle altre banche quotate, rimuovendo un rischio sistemico significativo per il settore. Il dubbio non è pertanto se il piano sia efficace, ma se sia realizzabile. Di fatti, pur ambizioso e dai risultati potenzialmente (definitivamente) risolutivi per la banca, il piano comporta enormi rischi di esecuzione: sia sufficiente ricordare che MPS ha in programma un aumento di capitale di 5 miliardi di euro, vale a dire 5,5 volte la capitalizzazione corrente e che, nelle attuali condizioni di mercato, potrebbe essere difficile coprire l’intera offerta da parte degli investitori. Meglio dunque assumere un atteggiamento tiepidamente positivo nei confronti della generalità del sistema bancario, ma sicuramente più guardingo verso MPS…

Esperto di trading e finanza, mi dedico alla stesura di articoli accurati e informativi, con l'obiettivo di fornire approfondimenti e conoscenze utili per orientarsi nel complesso universo degli investimenti.

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