Nessuna novità dalla riunione BCE di ieri, con il comunicato che ha conservato invariata la comunicazione sugli acquisti, sui tassi di interesse e sulla politica di reinvestimento. Come da attese della maggior parte degli analisti, il comunicato si è dunque limitato a prendere atto che il momento di fondo dell’economia si sta confermando come più forte degli auspici, e che il proseguimento dell’espansione a ritmi solidi consolida ulteriormente la fiducia del Consiglio di politica monetaria che l’inflazione convergerà verso il target del 2% nel medio periodo.
Ad ogni modo – e anche questo era ben prevedibile, ed era stato anticipato dagli osservatori più autorevoli – il comunicato ha anche indicato come il recente movimento del cambio euro dollaro sia un elemento di incertezza, che non potrà che influenzare in maniera negativa il ritorno dell’inflazione al target nel medio periodo. Ancora è presto per poter formulare delle previsioni attendibili sugli effetti di un simile scenario, ma è intuibile che l’euro rimarrà sotto stretta sorveglianza nel corso delle prossime settimane.
In tal senso, Draghi ha poi affermato come la volatilità recente sia principalmente determinata a commenti espressi in altre giurisdizioni, piuttosto che giustificata da motivi fondamentali, e che, nell’ipotesi di protratta forza del cambio, la Banca centrale europea potrebbe anche prendere in considerazione l’idea di variare la propria strategia di politica monetaria.
Come da attese, Draghi ha poi confermato come la posizione della BCE per il momento non sia cambiata rispetto alle formulazioni già “digerite” in occasione del meeting di ottobre, dal momento che i segnali di accelerazione di salari e prezzi interni rimangono poco solidi, e richiedono condizioni finanziare ancora molto accomodanti.
Alla luce di quanto sopra, pare che la sequenza di uscita dalle misure non convenzionali sia destinata a rimanere immutata: prima andrà concluso il programma di acquisto, e solo dopo verrà modificata la guidance sui tassi, senza accelerazioni di sorta che – forse – sono state erroneamente interpretate dai mercati, che nei verbali delle ultime riunioni hanno letto troppo “ottimismo” su un possibile accorciamento dei termini. In realtà, ha precisato Draghi, in quei verbali si voleva solo riassumere che nella riunione di dicembre è stato anticipato che la BCE inizierà a discutere dei temi di cui sopra nella parte d’apertura del 2018, ma senza procedere nel concreto a modificare la guidance. Draghi ha poi specificato che a gennaio non si è ancora avuta alcuna discussione sul tema.
Infine, Draghi ha poi voluto minimizzare, definendole come fisiologiche, le divergenze di opinioni tra i membri del consiglio che sono emerse a inizio gennaio, soprattutto sul timing della fine del programma di acquisto titoli, sottolineando poi che una conclusione improvvisa dopo settembre rimane ancora poco probabile.
Insomma, dalla riunione di ieri è emersa tutta l’evidenza del delicato momento che sta attraverso la Banca Centrale Europea, che nel 2018 sarà impegnata in un anno di transizione, in cui la comunicazione sarà il principale strumento di politica monetaria per orientare le attese di mercato. La fine del quantitative easing entro l’anno è ancora molto probabile, e successivamente dovrebbe finalmente partire la modifica della guidance sui tassi, con la fine del regime di tassi negativi entro il 2019. La guidance sugli acquisti potrebbe essere modificata per aprile, mentre la comunicazione formale sulle modalità di conclusione del programma arriverà prima o durante l’estate. Le prime variazioni concrete alla guidance sui tassi dovrebbero invece arrivare dopo l’estate, per preparare un primo rialzo del tasso sui depositi entro giugno 2019.
Naturalmente, il sentieri sopra appena tracciato non potrà che essere suscettibile di variazioni anche importanti, soprattutto se deluderanno i dati relativi all’inflazione. È infatti intuibile come, almeno per il momento, la BCE potrebbe alzare i tassi se il range di previsioni per l’inflazione sarà abbastanza stretto intorno ad un sentiero che mostra il ritorno al 2% nel 2020. Più probabile, invece, almeno per il momento, che la BCE possa voler attendere che l’inflazione mostri un aumento duraturo, diffuso a tutta l’area e in grado di autosostenersi.