La sterlina negli ultimi giorni è riuscita a rafforzarsi nei confronti di dollaro statunitense ed euro, e scoprire le motivazioni alla base di tale comportamento non è certo difficile: il rimbalzo della valuta britannica si è infatti manifestato sulla notizia che il Regno Unito e l’Unione Europea sarebbero vicine a un’intesa sull’exit bill, la “tassa” che Londra dovrebbe pagare a Bruxelles per potersi staccare dall’area unica.
A questo punto, però, per poter passare alla seconda fase dei negoziati, che avrà come tema centrale l’analisi del futuro dei rapporti commerciali e del periodo di transizione, è necessario che ci siano “sufficienti progressi” anche sugli altri due temi più delicati, come quelli dei diritti dei cittadini e del confine irlandese. Ebbene, proprio su quest’ultimo punto negli ultimi giorni si stanno incontrando le maggiori difficoltà.
Le trattative proseguiranno ora in maniera piuttosto intensa nel corso di questi giorni, per tutto il fine settimana e fino a lunedì 4 dicembre, data ultima entro la quale il Regno Unito è chiamato a presentare le proprie proposte concrete sui tre temi in questione. Lunedì è infatti in programma l’incontro tra la premier Theresa May e il presidente della commissione UE Juncker e il capo-negoziatore UE Barnier, in attesa del vertice del 14-15 dicembre dove l’UE dovrà dire se siano stati fatti o meno i “sufficienti progressi” di cui sopra abbiamo fatto rapido cenno, e utili per poter passare alla fase negoziale successiva. Sviluppi positivi in questa direzione favorirebbero un ulteriore apprezzamento della sterlina sia contro il dollaro sia contro l’euro.
In ambito Forex, risulta essere di particolare interesse cercare di comprendere come risponderà il dollaro statunitense, che ha riassorbito il calo di venerdì scorso grazie alla spinta fornita dalla pubblicazione di dati piuttosto positivi sul fronte dei dati (la fiducia dei consumatori di novembre è salita contro attese di calo) – e sul fronte della riforma fiscale (che ha ricevuto il via libera alla commissione bilancio, con imminente voto al Senato che non dovrebbe offrire sgradite sorprese).
La pubblicazione del Beige Book ha inoltre confermato la fase molto positiva della crescita economica degli Stati Uniti, ed ha ribadito che l’inflazione rimarrà comunque ancora bassa. Il quadro complessivo è comunque coerente con un altro rialzo dei tassi al FOMC del 13 dicembre, l’ultima opportunità prima della chiusura dell’anno. Pochi spunti verranno offerti dai dati in esame oggi: il deflatore dei consumi dovrebbe mostrare nella sua versione “core” il primo incremento da febbraio al di sopra di 0,1% m/m, mentre l’ISM manifatturiero è previsto ancora positivo.
A questo punto, se il Senato approverà la propria proposta di riforma fiscale, è possibile che il dollaro possa beneficiarne almeno parzialmente, consolidando le proprie posizioni (salvo che giungano gravi delusioni dai dati). L’apprezzamento della valuta verde dovrebbe comunque essere molto parziale, visto e considerato che il mercato sta già ampiamente scontando l’ipotesi del terzo rialzo dei tassi fed funds per il 2017.
Chiudiamo infine con un rapido cenno sull’euro, che sul rafforzamento del dollaro di cui sopra si diceva ha parzialmente corretto, a indicare quasi che la moneta unica rimane comunque discretamente supportata per il momento, grazie alle indicazioni positive giunte di recente sulla crescita dell’area. Altri segnali favorevoli sono giunti da diversi altri dati e dai discorsi BCE, anche se in maniera non particolarmente eclatante.
In un simile scenario, indicazioni rialziste dall’inflazione potrebbero avere un impatto rialzista sull’euro più ampio di analoghe indicazioni sulla crescita, anche se questa salita dell’inflazione dovrebbe essere transitoria, in quanto si prevede che l’inflazione torni a calare già a inizio 2018 scendendo fino a 1,0% o poco sotto. Ne deriva che un eventuale rafforzamento dell’euro in relazione ai dati di inflazione dovrebbe rivelarsi anch’esso transitorio, e che l’euro dovrebbe indebolirsi con l’avvicinarsi del rialzo Fed di dicembre e con la prospettiva dell’entrata in vigore della riforma fiscale USA entro l’inizio del nuovo anno, come sembra oramai sempre più probabile.