Attesissima, ma non certo per le novità sul fronte dei tassi, quanto per i giudizi espressi, è andata in archivio anche la riunione FOMC di fine luglio. Cerchiamo di capire cosa è accaduto (e cosa non è successo) e che cosa potrebbe accadere ora (e, soprattutto: i tassi riusciranno finalmente ad essere innalzati nel prossimo meeting di settembre?).
Argomenti
Cosa è accaduto, in breve
Come largamente atteso, la riunione del FOMC si è conclusa con la scelta di mantenere invariati i livelli dei tassi di interesse di riferimento, aggiungendo però un giudizio più ottimistico del quadro economico rispetto a quanto non fosse stato prefigurato nelle precedenti edizioni dell’appuntamento con il Comitato. Il voto –e anche questo era in buona parte atteso – non è stato unanime: George avrebbe infatti voluto alzare i tassi di 25 basis points già in questa occasione, senza attendere ulteriormente. Invece, la posizione di George è rimasta fortemente minoritaria, e il Comitato ha preferito non toccare i tassi, lasciando invece aperte le porte per valutare l’opportunità di un rialzo dei tassi nei prossimi mesi e, riteniamo, soprattutto nella riunione del mese di settembre (piuttosto che in quella successiva, troppo a ridosso delle elezioni presidenziali statunitensi).
Quali sono stati i giudizi del FOMC
Nella sua valutazione congiunturale, il comunicato rileva innanzitutto che il “mercato del lavoro si è rafforzato”, sminuendo sostanzialmente i timori che avevano accompagnato la precedente edizione dell’employment report, che aveva condotto notizie particolarmente negative sul fronte dei nuovi occupati e del saldo occupazionale (avevamo comunque già rassicurato i più scettici su tale ambito, ricordando che – ad esempio – buona parte del “flop” occupazionale era dovuto a eventi non ripetibili, come lo sciopero Verizon). Inoltre, il comunicato ha affermato che l’attività economica ha continuato a espandersi a un “ritmo moderato”.
Più nel dettaglio, il FOMC ha precisato come sul mercato del lavoro si possa finalmente osservare come la dinamica occupazionale e altri indicatori stiano puntando a un nuovo aumento dell’utilizzo del lavoro nei mesi recenti. Per quanto concerne invece i dettagli sulla crescita, il comunicato afferma come i consumi siano solidi ma gli investimenti sono deboli, mentre l’inflazione rimane sotto il 2 per cento in parte per il calo dei prezzi di energia e importazioni ex-energia del passato.
Nell’ambito dei rischi da affrontare, il comunicato del FOMC – altro elemento largamente atteso – ha preferito mantenere un’ottica particolarmente cauta, evitando di spingersi troppo nel fornire valutazioni chiare ed esplicite. Non sono comunque mancati dei passaggi sostanziali, come quello nel quale viene rilevato come i rischi di breve termine allo scenario economico siano diminuiti. Il comitato continuerà naturalmente a seguire da vicino gli indicatori di inflazione e gli sviluppi economici e finanziari globali, dai quali dipenderanno parte delle proprie, pur nella consapevolezza – si legge ancora – che le determinanti che stanno impedendo un rialzo dei tassi si stanno gradualmente riducendo e che potrebbero essere di nuovo soddisfatte le condizioni per un rialzo già nel corso dei prossimi tre mesi (settembre?).
La nuova (o vecchia) politica monetaria
Sul fronte della strategia di politica monetaria, il comunicato di luglio ricalca le stesse considerazioni che sono state affermate nel corso del mese di giugno. Dunque, i tassi di interesse di riferimento rimangono fermi, con la politica monetaria sempre accomodante. Le decisioni relative ai tempi e alle dimensioni dei futuri aggiustamenti dell’intervallo obiettivo del tasso dei fed funds, dipenderanno dalla valutazione delle “condizioni economiche realizzate e attese”, in base a diversi indicatori del mercato del lavoro e delle pressioni inflazionistiche, in particolare monitorando attentamente il progresso dell’inflazione verso l’obiettivo del 2 per cento. Il comitato ritiene in tal merito che le condizioni economiche si possano evolvere in modo da giustificare solo aumenti graduali del tasso dei fed funds, mentre i tassi effettivi dovrebbero restare per un certo tempo al di sotto di quelli di lungo termine.
Insomma, con la riduzione dei rischi di breve termine, che negli scorsi mesi avevano pressochè congelato il sentiero di rialzo dei tassi di interesse verso un livello “normale”, il FOMC lascia chiaramente intendere che un rialzo è possibile in tempi relativamente ravvicinati. Ancora una volta, però, lo stesso comitato si guarda bene dal fornire delle linee guida esplicite, mantenendo aperte tutte le opzioni e condizionando le prossime decisioni all’evoluzione dei dati e al monitoraggio dei rischi globali.
Cosa accadrà a settembre?
La grande domanda di oggi è: il FOMC aumenterà i tassi a settembre o attenderà ancora? E se dovesse attendere ancora, quante probabilità ci sono che si “muova” entro fine anno? A ben vedere quanto formulato nell’ultimo giorno, il rialzo dei tassi di interesse di riferimento ritorna sul tavolo, ma non si danno indicazioni concrete sui tempi: mancano infatti solo 6 settimane alla prossima riunione e sarebbe prematuro impegnarsi ora. Pertanto, per poter scoprire se effettivamente settembre sia un mese giusto per poter alzare i tassi, bisognerà dare uno sguardo ai dati. Fino ad ora, quelli che si sono accumulati nel calendario macro economico pregresso sono sicuramente positivi, e non sono mancate delle sorprese verso l’alto. Se i dati manterranno il tenore dell’ultimo mese, il comitato potrebbe finalmente muovere i tassi al rialzo a settembre, ma per il momento riteniamo possa trattarsi ancora di una mossa non troppo probabile. Per poter valutare più precisamente le probabilità di una mossa alla riunione di settembre sarà importante leggere i verbali (a cavallo tra le due riunioni) e ascoltare l’intervento del numero 1 della Fed, Janet Yellen, in programma a Jackson Hole a fine agosto. Se i verbali saranno sufficientemente “preparatori”, e la Yellen dovesse fornire concreti spunti al rialzo, il comitato di settembre potrebbe finalmente esser quello buono.
Se invece i tassi non dovessero essere oggetto di rialzo a settembre, si aprono nuovi scenari di difficile valutazione: l’ulteriore riunione sarebbe infatti molto ravvicinata rispetto alle elezioni statunitensi, con ciò che ne conseguirebbe. Dunque, se i tempi non saranno giudicati maturi a settembre, il rischio di chiudere il 2016 senza nessuna forma di aumento dei tassi Fed funds aumenterebbe in misura significativa, permettendo così all’esercizio di chiudersi senza ritocchi (in netto contrasto con le previsioni di 2-4 rialzi stimati a dicembre dagli analisti americani!).