Fmi diffonde nuove stime di crescita : ecco quanto ci costerà la Brexit

Alla fine, dopo tante voci e indiscrezioni, il Fmi ha svelato quanto – secondo i calcoli dei propri tecnici – la Brexit costerà all’Italia. Una rivelazione non particolarmente divergente rispetto a quanto era stato reso noto da diverso tempo da parte di analisti e osservatori, ma che permette di porre un punto di partenza nel comprendere in che modo si evolgerà il post Brexit per l’economia e la finanza italiana.

Nel dettaglio, il Fondo monetario internazionale ha dichiarato che il Pil crescerà meno dell’1 per cento nel 2016, e si muoverà intorno all’1 per cento nel corso del successivo 2017. Dunque, una riduzione dello 0,2 – 0,3 per cento rispetto a quanto era stato precedentemente stimato dal Fondo, e che aveva fissato nell’1,1 per cento la crescita dell’economia per quest’anno, e nell’1,3 per cento la crescita per il prossimo anno.

In un’appendice del Rapporto sull’Italia, il Fondo avverte come lo staff stia rivedendo, pur leggermente, la prospettiva di crescita in maniera tale da poter tenere in considerazione quella che è l’incrementata incertezza a livello internazionale. E per quanto la ripresa ci sia, e continuerà ad esserci, l’istituto di Washington afferma come la maggiore volatilità del mercato finanziario e la maggiore incertezza, potrebbero pesare sugli investimenti e sullo sviluppo economico da ora in avanti. Emerge comunque come il peso della Brexit sull’Italia sia molto limitato rispetto a quanto potrebbe avvenire in altri Paesi, visto e considerato che la nostra nazione ha un interscambio commerciale e finanziario con la Gran Bretagna tutto sommato piuttosto tenue.

Sempre in relazione allo stato di salute della nostra economia, il Fondo ricorda come la stessa si stia riprendendo gradualmente da una lunga e profonda recessione, e che comunque la ripresa è fragile e modesta. Per il Fondo, dunque, l’Italia non riuscirà a toccare i picchi conosciuti nel 2007 almeno per altri 7-10 anni, e come in questo periodo di tempo continuerà ad allargarsi il gap deficitario del nostro Paese rispetto alla media dell’area euro, che andrà a crescere più velocemente.

Il Fmi si è poi soffermato sulle sfide che attendono l’Italia e il governo Renzi, la cui agenda “varrebbe” circa 0,3 punti percentuali di Pil (a patto però, sottolinea il dossier, che gli sforzi siano effettivamente portati a termine e intensificati, con una nuova struttura della contrattazione che possa allineare i salari alla reale produttività, e con interventi sui non performing loans e sul cuneo fiscale.

Di fatti, prosegue il Fondo, tra i principali rischi che d’ora in avanti sono attesi dall’Italia, vi è quello della qualità degli attivi bancari, l’aumento della volatilità del mercato finanziario globale, il rallentamento del commercio mondiale, le minacce sulla sicurezza, il flusso di migranti che potrebbe condizionare la situazione politica.

Un paragrafo a parte è poi – purtroppo – dedicato all’imponente debito pubblico italiano. In tal senso, l’Fmi osserva come il debito sia salito al 132,7 per cento alla fine del 2015, e sia estremamente lontano dal target del 60 per cento che è stato fissato dal Patto di stabilità europeo, e che è ancora visto in aumento. La struttura del debito non preoccupa comunque eccessivamente, visto e considerato che proprio tale qualità può mitigare i rischi di rifinanziamento: la duration media è di 6 anni e mezzo, e circa il 70 per cento del debito è a tasso fisso, permettendo così una migliore pianificazione dell’esposizione. Ancora, circa i due terzi dei creditori del debito italiano sono detenuti da investitori domestici.

Esperto di trading e finanza, mi dedico alla stesura di articoli accurati e informativi, con l'obiettivo di fornire approfondimenti e conoscenze utili per orientarsi nel complesso universo degli investimenti.

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