La sterlina tiene posizioni contro il dollaro USA, ma l’impressione complessiva degli addetti ai lavori è che la valuta britannica sia destinata a rimanere sotto pressione ancora a lungo, nonostante buoni dati macro.
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Mercato del lavoro in buono spolvero
Cominciamo proprio da un breve commento sui dati macro. Gli ultimi – particolarmente soddisfacenti – sono quelli legati al mercato del lavoro, che conferma un quadro sostanzialmente positivo, con il tasso di disoccupazione stabile a 4,3% (il minimo da 42 anni a questa parte) e con la crescita delle retribuzioni in lieve decelerazione, da 2,3% a 2,2%, su un livello che è comunque più elevato delle attese – che erano per un incremento del 2,1%.
Nonostante ciò, non mancano coloro che sottolineano come la dinamica retributiva rimanga ancora debole, soprattutto se viene confrontata con quella dell’inflazione (che ha toccato il 3,0% negli ultimi due mesi), e rappresenta pertanto uno dei fattori che, unitamente ai rischi verso il basso sulla crescita dovuti a Brexit, stanno conducendo la Bank of England (BoE) a spostare gradualmente più in avanti nel tempo il prossimo rialzo dei tassi (probabilmente, ora nella seconda parte del 2018, mentre fino a non pochi mesi fa l’orizzonte era molto più contenuto).
È anche per le valutazioni di cui sopra che, pur tirando un sospiro di sollievo per la generale positività dei dati, la sterlina non è riuscita a capitalizzare su tali aggiornamenti macro, e ha anzi corretto parzialmente contro euro e contro dollaro, pur poi mantenendo le proprie posizioni recenti.
La posizione della BoE
In questo contesto, sul fronte BoE, Broadbent ha dichiarato di essere concorde con la decisione dell’istituto monetario di alzare i tassi a novembre, spiegando che era opportuno rimuovere una parte del grado di accomodamento monetario alla luce dell’ampia e protratta salita dell’inflazione al di sopra del target (adesso è al 3,0%) e del contestuale ridursi del margine di capacità inutilizzata nell’economia.
Lo stesso Broadbent ha poi dichiarato come la BoE debba attenersi alla propria assunzione secondo la quale il calo del tasso di disoccupazione dovrebbe generare una salita dell’inflazione e di conseguenza un’accelerazione della dinamica salariale, nonostante il clima di incertezza sugli effetti di Brexit per l’economia britannica.
In relazione a Brexit, per Broadbent l’uscita dall’Unione Europea non deve necessariamente condurre la BoE a stazionare su tassi d’interesse mediamente più bassi che in passato, visto e considerato che l’uscita dall’area comune potrebbe condurre effetti su inflazione, su crescita e su tassi non chiari, piuttosto ambigui e dunque ancora da rivalutarsi nel prossimo futuro. In ogni, caso l’impatto del ridursi del grado di apertura commerciale dell’economia britannica post-Brexit potrebbe essere il primo a manifestarsi, dando pertanto apertura alla necessità di rivedere il proprio approccio sul breve periodo.
Ricordiamo in questo caso che Broadbent è uno dei membri che ha votato a favore del rialzo dei tassi BoE alla riunione del 2 novembre. Per i prossimi mesi sembra però assumere un atteggiamento cauto e attendista, proprio in ragione della necessità di comprendere l’evolversi dei negoziati su Brexit e le sue conseguenze sull’economia d’oltre Manica.
Governo May verso soluzione su exit bill?
Ancora sul fronte Brexit, stando a fonti di stampa britanniche il governo di Theresa May si starebbe preparando ad aumentare (fino a 20 miliardi di sterline in più rispetto alla precedente proposta) la propria offerta all’UE sull’exit bill.
Rammentiamo – ne abbiamo parlato proprio su queste pagine non troppe settimane fa – che l’UE aveva chiesto al Regno Unito di fare un’offerta ragionevole entro la fine della prossima settimana, in maniera tale da mettere in archivio questo scoglio e passare ai negoziati sul futuro dei rapporti commerciali entro fine anno.