Forex, è il momento delle Banche centrali

Come già abbiamo avuto modo di anticipare nel nostro focus di ieri, questa è sicuramente la settimana delle Banche centrali. Di fatti, mandata in archivio la riunione della Banca centrale europea della scorsa settimana, con toni complessivamente meno accomodanti di quanto agli analisti finanziari potessero attendersi, e un generalizzato movimento di rialzo dei tassi, l’attenzione è ora spostata al modo con cui i mercati ragioneranno a freddo su quanto avvenuto in Eurotower e, soprattutto, sulle prossime riunioni di Boj, BoE e Fed.

Il tutto, peraltro, con una grande differenza di approccio: se infatti per BoJ e BoE le aspettative sono quelle di appuntamenti interlocutori, gli operatori di mercato scontano invece con una probabilità prossima al 100% (per Bloomberg siamo intorno al 98%) un rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve già nel corso della riunione di domani, 15 marzo.

D’altronde, gli sforzi che la Fed, attraverso alcuni membri votanti e non votanti, ha fatto nelle ultime settimane, hanno sgombrato il cielo dalle nubi del dubbio come, forse, mai era successo nei tempi più recenti. I membri del FOMC hanno infatti supportato con vivacità le attese di un rialzo dei tassi fed funds, affermando che gli obiettivi del mandato dell’istituto banchiere federale sono praticamente raggiunti (e non solamente in riferimento a inflazione e occupazione), e che i partecipanti vedono un sentiero di graduali rialzi per i tassi dopo l’appuntamento del mese di marzo.

In altre parole, considerata come cosa (quasi) fatto la scelta di alzare di 25 punti base i tassi nel corso della prossima riunione, gli analisti di mercato si stanno già domandando che cosa potrà accadere nel corso dei prossimi mesi, e attenderanno maggiori dettagli su tale fronte soprattutto dalle dichiarazioni post FOMC di Yellen, piuttosto che dal comunicato a margine della riunione del comitato di politica monetaria statunitense.

Considerato che Yellen presumibilmente tratterà anche questo argomento, è possibile che possano essere confermati i 3 movimenti nel 2017 (uno sarà quello di domani), guidando i tassi verso un lento ritorno alla normalità. Nel comunicato potrebbe invece trovare spazio la consueta retorica, in aggiunta a qualche spunto che potrebbe risultare di particolare gradimento, come ad esempio l’impressione del miglioramento per la valutazione dei rischi sull’economia, bilanciati, e che le prossime mosse avranno comunque carattere quello di contraddistinguersi per graduali rialzi dei tassi, mantenendosi comunque al di sotto dei livelli attesi per il più lungo termine, ancora per un certo periodo di tempo.

Come dichiarava Yellen non troppi giorni fa, la strategia è rimasta focalizzata sulla presenza di stime del tasso di interesse neutrale che sono vicine a zero su un orizzonte di breve termine e convergono all’1 per cento per il medio e lungo termine. Lo scenario centrale che è stato delineato dalla Presidente della Federal Reserve in occasione di un recente evento di inizio mese vede dunque i tassi reali intorno alla stima attuale del livello neutrale entro la fine del 2017 quindi con aumenti di 75 punti base nell’arco dell’intero anno (ovvero, 3 rialzi ciascuno da 25 punti base).

Superato questo frangente, l’aspettativa successiva sembra essere quella che il tasso reale neutrale salga gradualmente nel più lungo termine e che il FOMC si pronunci per altri graduali rialzi nel 2018 e nel 2019.

Tutto questo, naturalmente, solo in linea teorica. A far da traghettatore dalla presunzione alla realtà, andando a modificare anche in misura rilevante lo scenario di base, sarà principalmente l’evoluzione degli sviluppi macroeconomici, sia domestici che globali, e gli sviluppi delle politiche economiche della nuova Amministrazione Trump in termini di commercio estero, politica fiscale e deregolamentazione.

Purtroppo per i policy makers della Fed, questi ultimi aspetti sembrano essere tutt’altro che ben definiti. Per il momento Trump si è limitato a qualche annuncio e a qualche primo provvedimento (peraltro caotico, come quello sull’immigrazione) mentre per attendere qualche bozza di legge – per esempio in ambito fiscale – occorrerà presumibilmente attendere ancora 2 o 3 mesi.

A quel punto, inizierà una discussione che nella migliore delle ipotesi potrebbe concludersi alla fine dell’estate, per poi passare al voto nella parte iniziale dell’autunno. Ne deriva che, sempre ragionando in termini ottimistici, la Fed saprà le intenzioni di Trump solo dopo la riunione di maggio, e assisterà all’impatto dei primi effetti conseguenti solamente nel corso del 2018.

Vedremo dunque, nel corso dei prossimi mesi, quali saranno i reali movimenti decisori che la Fed andrà ad effettuare nei confronti della propria politica monetaria, e quali saranno le valutazioni che andrà a digerire sul fronte delle politiche fiscali e commerciali di Trump. L’impressione è che per il momento “comanderanno” i dati macro economici, e che se continueranno ad essere positivi, finalmente il gap tra gli annunci e le applicazioni di politica monetaria – così significativi negli ultimi anni – potrà essere colmato con il rispetto dei 3 rialzi dei tassi nell’esercizio in corso.

Esperto di trading e finanza, mi dedico alla stesura di articoli accurati e informativi, con l'obiettivo di fornire approfondimenti e conoscenze utili per orientarsi nel complesso universo degli investimenti.

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